Sta per chiudere la carriera così, in punta di piedi e con eleganza, quasi a imitazione di quelle chiusure difensive che erano diventate un marchio di fabbrica per gli appassionati di calcio. Resta soltanto l’ultima giornata del campionato statunitense (più gli eventuali playoff) e poi Alessandro Nesta appenderà gli scarpini al chiodo.
Una decisione che era nell’aria da tempo, nonostante la dirigenza del Montreal Impact con tutta probabilità avrebbe volentieri beneficiato del suo apporto almeno per un altro anno. E invece no. Alessandro non se l’è sentita, forse memore di una carriera che, suo malgrado, lo ha visto spesso protagonista di sfortunati problemi fisici. Ma ciò non gli ha impedito di collezionare trofei in serie, né di raccogliere attestati di stima da ogni parte del mondo. Eh sì, perché Nesta non era un difensore come gli altri. In un ruolo nel quale spesso non si bada tanto per il sottile, lui puntava tutto sull’eleganza e sul tempismo. A tutto ciò si coniugava un mostruoso senso dell’anticipo e una prestanza fisica invidiabile. Caratteristiche che ne hanno fatto un giocatore di primissimo livello, fin dal suo esordio in un pomeriggio di marzo nel 1994 con la maglia della Lazio. Un sogno che si avvera per Sandro che non ancora diciottenne esordisce con la maglia che ha sempre sostenuto fin da bambino.
Nesta si impone senza difficoltà nelle gerarchie della retroguardia laziale e Zeman gli affida le chiavi della difesa. Quel numero 13 che porta sulle spalle diventa un simbolo e in una serata di Coppa in quel di Guimaraes riesce anche a mettere a segno il primo gol in carriera da professionista. Questa escalation tocca il suo apice nella serata del 29 aprile 1998, quando un suo gol suggella la rimonta laziale nei confronti del Milan con conseguente vittoria della Coppa Italia, il primo trofeo dell’era-Cragnotti. Si apre un’era nuova per Nesta che, da capitano, inizia ad alzare senza soluzione di continuità trofei e la sua maturazione è lo specchio di quella della squadra, che da sorpresa del campionato nell’era Zeman, inizia a essere protagonista assoluta del calcio italiano. Il momento di splendore delle due squadre di Roma corrisponde alla crescita di Alessandro e del rivale storico Francesco Totti, che si contendono il ruolo di nuovo re di Roma. La stretta di mano prima del derby è quasi una cartolina per mostrare al mondo che anche all’ombra del cupolone ormai si gioca il grande calcio.
Le cose però nell’ambiente biancoceleste iniziano a guastarsi. Arrivano tempi cupi per i biancocelesti e un campione di livello mondiale come lui è un lusso che la Lazio non può più permettersi. In tali condizioni la cessione nell’estate del 2002 è inevitabile e Nesta per primo dimostra di capire perfettamente la situazione, gettando acqua sul fuoco ogni qualvolta gli si chiedano lumi rispetto ai suoi rapporti con i tifosi e alla sua cessione. A beneficiare del nuovo acquisto è il Milan, che compone con il suo ingaggio una coppia difensiva da sogno insieme a una leggenda come Paolo Maldini, e il suo inserimento funziona alla perfezione. Il Milan infatti si porta a casa la Champions League e Nesta risulta decisivo segnando anche uno dei rigori che piegano la Juventus. Nell’anno successivo arrivano anche lo Scudetto e la Supercoppa Europea. A questo punto però diversi problemi fisici iniziano a minare la tenuta fisica del numero 13 e gli negano un ruolo da protagonista al mondiale 2006, che finisce in trionfo per gli azzurri. Un triste replay di ciò che era successo già nel 1998, quando nell’ultimo match del girone di qualificazione un infortunio ai legamenti lo costrinse a tornare mestamente in Italia. Tutto ciò lo porta alla scelta sofferta di lasciare l’azzurro, dopo 78 presenze, per concentrarsi solo sul Milan. Le sfortune azzurre però vengono ampiamente compensate con le soddisfazioni a livello di club, visto che a un palmarés già pingue si aggiungono un’altra Champions, un Mondiale per Club e un nuovo Scudetto. In totale faranno ben 17 trofei nazionali e internazionali, oltre al mondiale 2006.
Prima della fine del contratto con il Milan, c’è ancora tempo per un confronto con Messi in Champions League. Il Barcellona vince e passa il turno. Ma Alessandro strappa applausi riuscendo a contenere un giocatore contro il quale sarebbe stato bello vederlo duellare ad armi pari, senza i guai fisici che hanno segnato la carriera del ragazzo nato 37 anni fa nel quartiere di Cinecittà. Forse negli ultimi tempi si è guadagnato la fama del “campione di cristallo” a causa del tanto tempo passato in infermeria, ma la stima dei tifosi e di tutto l’ambiente calcistico nei suoi confronti è rimasta sempre immutata. E tutti hanno nella memoria quelle chiusure memorabili e pulite, che portavano ordine e bel gioco in un ruolo nel quale, tradizionalmente, di grandi giocate e di tocchi di classe se ne vedono poche. Mancheranno a tutti, anche a chi non ha avuto il privilegio di vedere questo campione vestire la maglia della propria squadra del cuore.
Un po’ di Nestalgia sarà sempre presente in tutti gli appassionati di calcio. Chi non ci creda, chieda ai tifosi della Lazio, ai quali quel formidabile capitano manca tantissimo, da ormai 11 anni, ogni giorno di più.