Il calcio è pieno di storie incredibili. Se ne potrebbero raccontare a centinaia andando avanti per giorni senza sosta. Ci sono quelle sui “duri” del calcio come Cantona o Ibrahimovic, quelle sui “dannati” come Best e Maradona, e anche quelle sugli “artisti” come Cruijff e Zidane. Tutte storie più o meno a lieto fine, con il giovane ragazzo cattivo/problematico/predestinato che poi diventa uno dei migliori al mondo.
Oppure ci sono quelle storie di infortuni, carriere spezzate, talenti non sbocciati o male coltivati. Di giocatori fortunati e di altri che con la malasorte ci vanno a braccetto, di poveri diventati ricchi e di bambini-giocatori lontani da casa.
Poi c’è la storia di Giuseppe Rossi, che al proprio interno racchiude un po’ tutte quelle elencate.
Un cerchio aperto nel New Jersey, con un bambino nato da genitori italiani, con un padre amante del calcio tanto da provare a insegnarlo ai bambini americani negli anni ’80. Un talento troppo accecante per non essere notato e riportato in Italia, a Parma, quando aveva ancora dodici anni.
E poi, quasi senza avere il tempo di rendersene conto, arrivano i gol, le Nazionali giovanili, il Manchester United, il Newcastle, di nuovo lo United, il Villarreal, la Nazionale maggiore.
E quell’anziano signore di nome Bearzot, che di calcio sembra saperne e che nel 1982 ha scritto una delle pagine più belle di questo sport, che in lui rivede un altro Rossi, uno che in Spagna c’era e che da quel momento verrà da tutti chiamato “Pablito”, e decide di soprannominarlo “Pepito”. Tutto bello, bellissimo. La storia a lieto fine di un ragazzo predestinato.
E invece no, arriva il 2010 che si porta in dote la scomparsa del padre e la mancata convocazione ai Mondiali in Sud Africa. Ma era solo la preparazione a ciò che di peggio può capitare nella carriera di un calciatore: nel 2011 a Madrid si rompe il crociato del ginocchio destro e sei mesi dopo — nell’aprile 2012 — in allenamento si rompe lo stesso legamento dello stesso ginocchio ed è costretto a saltare gli Europei in Polonia e Ucraina.
Brutto, bruttissimo. La storia finita male di un ragazzo che sembrava predestinato.
Ma Pepito ha deciso che quella non sarebbe stata la parola “fine” della sua storia di calciatore. Ha ricominciato ad allenarsi, a lavorare, ha trovato nella Fiorentina — a gennaio di quest’anno — una squadra pronta a investire su un ragazzo ancora infortunato.
È rientrato definitivamente in questo campionato e ha deciso di esplodere ieri contro la Juventus, nella sfida più sentita per Firenze e per la tifoseria Viola.
È tornato. Nell’ottobre 2013, a due anni da quell’ottobre 2011 a Madrid.
Con una tripletta, proprio come “Pablito” in Spagna.
Con il 49 sulle spalle, l’anno di nascita del padre.
Giuseppe Rossi, il cerchio si chiude.