Sembrava una giornata come le altre, una delle tante che negli ultimi mesi hanno caratterizzato la trattativa tra Massimo Moratti ed Erick Thohir, il ricco imprenditore indonesiano con il pallino per lo sport. Poi, a metà mattinata, qualcosa si è mosso in Corso Vittorio Emanuele: finalmente sono arrivate le firme, così come il comunicato ufficiale della società e dei due diretti interessati.
Alt. Prima di prematuri proclami trionfali o nostalgiche polemiche, però, occorre capire cosa sta succedendo per davvero. Anche Moratti, subito dopo il signing, è apparso confuso e quasi inconsapevole di quello che aveva appena fatto: cioè vendere il 70% della sua squadra del cuore, la sua creatura che in questi diciotto anni ha curato e cresciuto quasi fosse il suo primogenito.
Il rispetto, Moratti, se lo è guadagnato sul campo (anche se, detta così, potrebbe sembrare quasi una battuta) nonostante la sua conduzione non sia stata proprio impeccabile: anni di sperperi e risorse investite in malo modo non si dimenticano, nemmeno dopo un quinquennio caratterizzato da vittorie prestigiose e, a livello italiano, addirittura uniche (nessun’altra squadra della nostra penisola ha mai vinto tre trofei nella stessa stagione). In ogni caso, e questo è un dato di fatto, si chiude l’era più vincente nella storia dell’Inter: e questo, di per sé, già potrebbe bastare per far uscire di scena Moratti con onore. Ecco spiegato perché Thohir, da grande comunicatore, ha voluto dedicare proprio a lui le prime parole da Presidente dell’Inter.
Questo passaggio storico, però, non vale soltanto per il club meneghino: Thohir con ogni probabilità sarà il primo di una lunga serie di nuovi investitori nel campionato italiano, un percorso iniziato e segnato dagli americani con la Roma. Anche la Serie A, quindi, sta per piegarsi a quelle che sono le più semplici logiche di mercato: per poter reggere il contraccolpo economico dovuto alla mancanza di uno stadio di proprietà, di un merchandising non efficace e, quindi, di un fatturato che possa essere competitivo in Europa, è necessario che a investire siano persone auto-munite di capitale. Sono poche, pochissime le squadre di calcio (tra quelle al top) che si autofinanziano, e nessuna delle italiane è tra queste.
Un triste dato di fatto che, in ottica Inter, non può che fare piacere ai tifosi nerazzurri: anticipare le dirette avversarie, da questo punto di vista, può essere un vantaggio da non sottovalutare. I punti interrogativi relativi all’operazione Thohir-Inter, però, sono molti; innanzitutto l’Inter è all’inizio della propria ricostruzione, di conseguenza non può contare sugli introiti derivanti dalla Champions League. Soltanto questo denaro liquido rappresenterebbe una manna dal cielo per i conti di Corso Vittorio Emanuele, ma le domande non si fermano qui: il magnate indonesiano rivaluterà San Siro oppure avallerà l’inizio del progetto per un nuovo stadio, di proprietà interista, ripercorrendo il modello Juventus? Massimo Moratti resterà presidente oppure passerà il testimone a suo figlio Angelomario? E ancora: nel caso in cui il progetto non dovesse rivelarsi economicamente sostenibile, Thohir sarà pronto a rimetterci soldi di tasca propria, proprio come ha fatto Moratti per anni?
Quello che pare certo, al momento, è che non siamo di fronte al classico egocentrico che, date le sue ingenti risorse economiche, vuole divertirsi per qualche anno giocando a Football Manager con la realtà: niente progetti alla Manchester City o Paris Saint-Germain, quindi, ma programmazione a lungo termine basata su giovani di talento che, come nelle migliori aziende, possano aumentare il valore della società. Anche nel rispetto dei tifosi, l’anima soggettiva e irrazionale di una squadra di calcio. Solo attraverso questo processo in stile Arsenal, l’Inter potrà tornare ai fasti dell’era Mourinho, quando il monte salari era ai massimi storici e, per contare i campioni in rosa, probabilmente non bastavano le dita di due mani.
I risultati, è brutto a dirsi, ormai sono una logica conseguenza della programmazione e dell’oculatezza nell’effettuare gli investimenti giusti al momento giusto. Che sia chiaro ai tifosi interisti, quindi, che a gennaio non arriverà Fabregas né tantomeno Messi, giusto per citare due nomi che, ogni tanto, compaiono sui giornali. Pazienza, coraggio nello scegliere i giovani giusti e, soprattutto, rispetto per chi lavora quotidianamente per rendere l’Inter una società competitiva sul mercato. Già, ancora il rispetto: una virtù che rende grandi, nel calcio e nella vita.