“Roma è il mio essere, Milano il mio dover essere“, scriveva qualcuno. Erano altri tempi, il calcio era fenomeno sociale ma non prioritario nelle abitudini di scrittura italiana, ma la frase è perfetta per l’occasione.
Metti un sabato sera a San Siro, e anche una classifica niente male. Parliamo di Inter e Roma, compagini radicate nel cuore e nei sogni di milioni di italiani, non solo nelle città di riferimento.
Principalmente, come recita il titolo dell’editoriale del sabato, c’è di mezzo una coppa. Che qualcun’altro preferiva, ma che Garcia e Mazzarri preferire non possono.
Perché la particolarità è questa, consiste nella dimensione puramente italiana del 2013-2014 di Internazionale e AS Roma. Nella proiezione limitata ai confini del Belpaese dell’attività di nerazzurri e romanisti.
Tutto bene o tutto male? In medio stat virtus, ancora una volta: sbaglia chi dice che l’Europa League è meglio non farla, perché di palcoscenico europeo trattasi e, come suol dirsi, la coppa logora chi non ce l’ha. Ma per l’anno zero (e di tale dobbiamo parlare) è un fattore, permettendo meno turn over: giocano quelli bravi, i migliori 11.
Pochi calcoli, non si ammattiscono gli italiani che fanno il fantacalcio: il trequartista più forte gioca sempre, Totti sta meglio se non gioca a Varsavia o Kiev il giovedì sera. Inter-Roma la giocano i migliori, senza pensare ad altro.
Sì allora, in qualche caso la coppa è meglio se non ce l’hai, specie se vieni da annate dove s’è fatto tanto e s’è ottenuto poco. L’Inter post-triplete, per esempio, era uno spettacolo poco attraente: via un allenatore dopo l’altro, fra flop di mercato più o meno fragorosi. E rumorosi: investire troppo e male rovina le stagioni.
E poi c’è la Roma, passata attraverso la grande paura, il rischio fallimento, e la cessione in mani non italiane. Non passa lo straniero, ma a volte sì: la proprietà balbetta ancora, scalda poco la piazza, incespica e del football deve ancora prendere le misure (capita anche altrove: chiedete dalle parti di Liverpool. Poi ci s’arriva), ma ora ha scelto un allenatore maturo e tatticamente bravo.
Mister arrivato in punta di piedi, in piena contestazione, con l’ansia di un posto in cui è difficilissimo lavorare: tante pressioni, pochi trofei anche quando il gioco era spumeggiante. Però è bello pensare all’epoca di Spalletti, perché in quegli anni la rivalità di classifica era proprio con l’Inter.
E la Roma graffiava, ruggiva. Eccome se lo faceva: quanti big match, quante serate tese, vere polemiche dell’una come dell’altra fazione.
È diventato o diventerà (anche) un “derby” straniero: bandiera stelle e strisce da una parte, vessillo indonesiano dall’altro.
Non è una pioggia di denaro, né vedremo investimenti da 40-50 milioni a calciatore e forse è un bene, per questo nostro calcio stanco e acciaccato: se però statunitensi e indonesiani il progetto stadio lo fanno decollare davvero, modernizzando il sistema tutto (a seguire la Juventus), fra dieci anni parleremo di tutt’altro.
Ora godiamoci Totti, Palacio, Icardi e De Rossi: a chiasmo e non casualmente. Non è un caso che questa partita, per il talento due due allenatori, conti tantissimo già da ora. Finalmente un po’ di respiro, buon sabato sera Serie A.