A Napoli, scugnizzo prima di Maradona
Il suo nome compariva anche nella celebre canzone di Rino Gaetano, “Nun te reggae cchiù”, nel verso “dribbla Causio che passa a Tardelli Musella Antognoni Zaccarelli Gianni Brera Bearzot …”. Perché, nel 1980, Musella era esattamente quello che si poteva definire un talento e il suo nome era regolarmente al centro degli articoli riguardanti il Napoli.
Menzionato in cronaca in questi giorni, dietro il lugubre annuncio “muore ex calciatore in circostanze da chiarire”, Gaetano Musella, classe 1960, fu attaccante del Napoli quando Maradona ancora svernava in Catalogna, e si poteva essere principi del San Paolo anche solo per una stagione, per aver infervorato il sogno di strappare alla Juventus di Trapattoni quello scudetto che poi, puntualmente, alla fine finiva cucito sulle maglie bianconere.
Con “Nino” Musella, lo scugnizzo fatto in casa, primo Nino a sfoggiare un caschetto, moro, in mezzo ai vichi, con le parate di “giaguaro” Castellini, con l’olandese Rudi Krol, alfiere medagliato della prima zona totale orange, con il talento mancino del baffuto Massimo Palanca e l’ardore del mastino napoletano Peppe Bruscolotti, i ciucciarielli sfiorarono lo scudetto nella stagione 1980-81. Finché, a fine stagione, durante un’ innocua partita contro il Perugia già retrocesso, la malasorte calzò al contrario lo scarpino dello stopper partenopeo Moreno Ferrario e deviò nella propria porta un pallone letale, come solo gli autogol sanno essere.
All’epoca titolare nella nazionale under 21, con firma statistica di un gol segnato al Lussemburgo, in quell’anno Musella disputò la sua migliore stagione, con 5 gol in 30 presenze. Poi il passaggio al Catanzaro, le ultime presenze in serie A e una parabola discendente nelle serie minori, con un finale dignitoso che lo vide finire stella di periferia, in quel di Castellammare di Stabia.
Al direttore del Guerin Sportivo, Andrea Aloi, nel libro “Meteore” del 2002, così il “Nino de oro” si descriveva: “la classica mezza punta, stavo dietro ai due attaccanti Damiani e Pellegrini, mentre Vicini in under 21 mi metteva all’ala destra, come Bruno Conti. Ero quello dell’ultimo passaggio, facevo fare i gol, un assist man. Veloce, nei venti-trenta metri avevo uno scatto esplosivo… Mi sono sempre divertito, quando ho capito che nel calcio contano i risultati, non sono più riuscito a rientrare nel grande giro”.
Rino Marchesi, allenatore dell’epoca, lo ricorda così: “Nino Musella, il miglior talento della storia del Napoli”.
Nel Napoli di oggi, forse Insigne ne può ricordare l’estro e le caratteristiche, oltre che le origini. E proprio alla stellina del Napoli di Benitez, Musella recentemente aveva raccomandato di prendersi cura del proprio talento. Perché se il tempo fugge, figuriamoci quanto scappa la carriera di un calciatore, se non si riesce a governarne la direzione ai bivi.
Già, il talento. Da Morfeo a Flachi, da Ciro Muro a Maiellaro, da Pirri a Valigi, molti nomi oggi nemmeno dicono più nulla a chi li sente menzionare, disancorati dal ricordo di vittorie mai arrivate, sommersi dal wikipedico elenco dei protagonisti del fantacalcio. Ma nella Napoli di fine anni ’70, quella del primo Pino Daniele e di James Senese, di Massimo Troisi e dell’ultimo Eduardo, essere il re degli scugnizzi significava davvero qualcosa. Sai quanti vetri rotti, dietro ad un pallone calciato urlando il nome di Musella? Sì, a Napoli, ci si arrangiava anche così a sognare una vittoria. Poi è arrivato Maradona e tutto è cambiato per sempre, nonostante le successive sventure, che comunque non sono mai riuscite a cancellare la fiducia nel ritorno ad alti livelli della squadra, ormai assunta nel pantheon delle scudettate. Gaetano Musella, forse ha avuto la sfortuna di arrivare prima del tempo. Ma forse, proprio per compensarne la sorte, è appena giusto che oggi venga riconsegnato alla fantasia popolare il protagonista di una storia andata, piuttosto che un cognome sventolato in un trafiletto di cronaca vagamente morboso.