Ne parliamo sempre troppo poco, ma è uno dei “difetti” dei siti generalisti: per dare spazio a tutti, si finisce per trascurare troppe cose. A ogni modo, ci sono fior di siti dedicati alla cadetteria (TuttoB è solo un esempio), segno che l’interesse per la categoria è vivo e vegeto. A maggior ragione quando rischia di finire in prima serata. Perché per la scomparsa di Marco Giampaolo si stava muovendo Chi l’ha visto, malgrado l’assenza di ogni Ludovica di sorta.
E così, assistiamo sgomenti alle parole del fuggiasco («non mi riconosco in questo calcio selvaggio»: ce ne eravamo accorti), e penso sia lecito chiedersi se non abbia le sue ragioni: ha parlato di «stravolgimento degli obiettivi della società». Ora, da che pulpito? Profeta di buon calcio (e di successi) in quel di Ascoli, nel biennio 2004-2006, da allora non è più riuscito a ripetersi (doppio esonero a Cagliari, una bene e un esonero a Siena, male a Catania e Cesena, il resto è storia recente); malgrado ciò, Massimiliano Allegri continua a ritenerlo uno degli allenatori più bravi di lui (qui la dichiarazione).
In ogni caso, qualcosa non torna. Si sposa un progetto, se ne diventa l’alfiere, e poi se ne esce in fuga. Ma i calcoli cominciano a farsi più chiari se si guarda a chi gli subentrerà: con tutto il rispetto e la simpatia per la persona, non si può pensare che la scelta di Gigi Maifredi sia di primo profilo (e tantomeno di primo pelo). Difficile vederci dietro un disegno chiaro e proiettato nel futuro. Ma una giustificazione la si trova nel legame esistente tra l’ex tecnico juventino e il presidente Gino Corioni: una liaison iniziata nel 1986, con l’Ospitaletto, in C1, proseguita a Bologna l’anno successivo, e poi ripresa di recente (nel 2009 Maifredi è diventato direttore tecnico delle rondinelle).
A ogni modo, conosciamo Corioni e conosciamo le sue squadre: capaci di mettere assieme vecchie volpi e di lanciare giovani rampanti, il tutto condito in una salsa che può oscillare tra la Coppa UEFA e (più spesso) l’ascensore. Il Bologna di Maifredi ha fruttato una promozione e una qualificazione all’Europa; il Brescia di Mazzone e Baggio, più di recente, si è distinto in Serie A. Ma in Serie B, per dire, Marek Hamšík giocava titolare a diciotto anni (e, parlando di ascensore, aveva già esordito in Serie A pochi mesi prima); e non si contano i giovani lanciati ai massimi livelli (un solo nome per tutti: Andrea Pirlo).
Si dimette Giampaolo, comunque, per divergenze insanabili. Sostituzione obbligatoria, in bocca al lupo a Maifredi, forse tra i pochi capaci di interpretare nel migliore dei modi un proprietario a volte ingombrante e facile ad alzare la voce (anche di recente). Ma è niente di fronte a uno Zamparini. Basta il nome per capire già di cosa stiamo per parlare. Perché se Giampaolo afferma di essersene andato in forza di un cambiamento negli obiettivi della squadra (colpa della proprietà, insomma), non così in Sicilia.
I due capi in testa, poi, li conosciamo benissimo: Corioni e Zamparini, con le loro diverse reincarnazioni (Bologna e poi Brescia per il primo, Venezia e Palermo per il secondo). Un uomo di terra e uno di mare, accomunati anche dalla “sindrome dell’ascensore”: squadre in grado di vincere in Serie B, ma una volta in A con il rischio permanente del ritorno in cadetteria. Anche se entrambi, in realtà, di soddisfazioni se ne sono tolte di belle, in certe annate. E se Corioni ha avuto Baggio, Zamparini in Sicilia ha avuto Pastore a pennellare bel calcio. Almeno finché Guidolin non ha preferito riavvicinarsi alla sua Castelfranco Veneto (e salvarsi il fegato).
Corioni, abbiamo visto. Ma Zamparini? Come si può giustificare l’esonero di Gennaro Gattuso? Facile: squadra retrocessa, che si vuole pronta alla risalita, capace di perdere la metà delle sue prime sei partite. Ma se pure è lecito chiedersi quali fossero le certezze di cui si parlava solo qualche settimana fa, una cosa supera tutte: l’abilità del proprietario del Palermo nel fare e disfare. Presa una piazza di mare, e vogliosa di calcio, la si è portata fino all’Europa (sotto Guidolin), per poi svuotarla a poco a poco; e per dare un’idea, da quel Palermo sono usciti ben quattro campioni del mondo (Barone, Barzagli, Grosso, Zaccardo). Poi il vuoto. Per il rilancio, adesso si è pensato di affidarsi a un giovanissimo (Ringhio ha solo 35 anni), anche lui campione del mondo nel 2006, che all’unica esperienza da allenatore-giocatore, in tre mesi, ha messo insieme tre vittorie (di cui una in coppa), quattro pareggi e altrettante sconfitte.
Dice: in certi casi si cambia, per evitare il peggio. E si cambia riconoscendo un errore: fuori Gattuso, dentro Iachini. Ora: assodato che Iachini, sergente di ferro, ha tutto per continuare una buona carriera da allenatore; ma non lo si poteva chiamare in estate, invece di aspettare fine settembre? Perché è lecito sbagliare, ma ripetere errori su errori dovrebbe farci riflettere.
Anche perché Maurizio Zamparini, in 25 anni di calcio, ha avuto 44 allenatori, per un numero di esoneri che non credo abbia pari a ogni latitudine. Con le donne è più buono: sposato due volte, dopo avere esonerato la prima si dev’essere calmato. O forse, semplicemente, ha cambiato e riconosciuto l’errore. Ma il punto è: un allenatore che sbaglia così tanto, sotto Zamparini, verrebbe esonerato. Ma chi può esonerare un proprietario?