Eccolo, mentre si raccoglie nell’abituale coda i capelli scomposti dall’esultanza, visibilmente arrossato in viso per l’emozione patita e gli occhi ancora inumiditi dal pianto liberatorio, nel tentativo di ristabilire l’equilibrio emozionale, con un gesto rassicurante e familiare ad ogni capellone. Federico Balzaretti, di professione terzino sinistro, domenica pomeriggio ha vissuto l’emozione inconsueta del gol, proprio nel giorno in cui “la chiesa è tornata al centro del villaggio”, secondo il detto dal sentore franco-mazzoniano, citato da Rudi Garcia a fine partita.
In una città dove il calcio probabilmente ha soppiantato nella dimensione popolare ogni altro riferimento sociologico, andando spesso sopra le righe, sopravvivere all’onta del derby di Coppa perso a maggio è stato complicato. Musi lunghi, vendette giurate, sfottò andati a male e scritte sui muri, tolleranze tracimate e contestazioni prolungate. Il “progetto” degli americani ridotto ad una macchietta sordiana, disperso tra Kansas City e “località buròne dàa Maranella”. I calciatori marchiati a vita da una lettera scarlatta. Possibilità di redenzione scarse, praticamente azzerate.
Poi, l’incoraggiante avvio di stagione, le prestazioni che sembrano tornare all’altezza delle aspettative ambientali, un nuovo allenatore, il volto nuovo di un olandese volante che si fa subito voler bene, a differenza di quel simil-pirata dei Caraibi partito furtivamente nella notte verso i porti titanici d’Inghilterra e l’entusiasmo che ritorna, tanto che quasi si potrebbe presagire un’amnistia generale, nel caso in cui si ponga in una certa misura rimedio alla “disfatta del portaombrelli”, rateizzando il pregresso debito di fiducia e andando a pagare almeno la spettanza corrente in moneta sonante. Quindi, vincendo.
In questo quadro ambientale, il soldato Balzaretti, più di altri, sembrava aver perso la via del ritorno. Come capita a chi da sempre ha costruito la propria carriera sulla capacità di sacrificio e la vocazione alla corsa, quando il fiato si accorcia, quei limiti tecnici a lungo tenuti nascosti dall’agonismo e dalla garanzia di una copertura a lungo raggio sulla fascia, si sono rivelati in tutta la loro franchezza. Buone sovrapposizioni, inserimenti costanti, recuperi e ripartenze, ma sempre con lo stesso finale: il cross ciabattato di interno collo direttamente a mezza altezza sull’avversario o il tiro in porta perennemente perimetrato sull’esterno-mondo.
Tanta generosità così male investita, avevano reso Balzaretti una sorta di pulcino Bagnato, ormai più famoso per il matrimonio con l’Etoile dell’Opera parigina, che per le prestazioni in campo.
Così, quella palla a mezz’aria, ricapitata dopo un primo tentativo sul piede giusto, dev’essere sembrata all’ex giocatore della Nazionale l’occasione unica e irripetibile per firmare il “new deal” col pubblico giallorosso e contemporaneamente ritrovar se stesso.
Poi, basta immaginare. Balzaretti calcia, la fortuna per una volta non gli gira le spalle, il pallone entra in rete, gli argini cedono, l’emozione dilaga. Balzaretti e le sue lacrime diventano l’immagine calcistica del giorno. Il web lo mette impudicamente al centro dei propri reportage, come era capitato nell’era del cartaceo a Maradona e a Ronaldo.
E d’improvviso, in qualunque appassionato di calcio ritorna a parlare quel sentimento terzino e operaio che fa bello questo sport, anche quando le mezzali divine o gli eleganti centravanti si ritrovano per una volta ad applaudire, nel giorno più atteso, la meritata rivincita di un giocatore generoso come Balzaretti, Etoile dell’Olimpico.