Nel calcio femminile in pochi hanno avuto una carriera come quella di Daniela Tavalazzi, difensore roccioso classe 1972 che ha collezionato scudetti con squadre come Torres e Verona e più di cento presenze con la maglia della Nazionale Italia Femminile. Abbiamo deciso di intervistarla per chiederle cosa fa, come lavora, quali sono le sue impressioni sul calcio femminile e quali sono i suoi ricordi della Nazionale.
Daniela, quando hai deciso di occuparti del settore giovanile femminile?
“Mi ero fermata per decidere di cosa occuparmi oltre al mio lavoro di rieducazione per i professionisti e decisi di andare a vedere come era il settore giovanile del Bologna e vidi che erano 14 ragazzine che formavano una pseudo primavera. Parlai col responsabile del settore giovanile e decisi di fare due settimane di stage gratuito per le ragazzine che si volevano avvicinare a questa disciplina. Grazie alla affiliazione col Bologna ed alla creazione di un nuovo sito siamo riusciti a farci conoscere in giro ed ora il settore è composto da 90 ragazzine dai 6 ai 18 anni, con anche episodi di connubio tra maschile e femminile e con la possibilità di farci conoscere all’esterno. Piano piano siamo cresciute ed ora mi trovo a gestire cinque categorie di ragazzine più la prima squadra, con l’obiettivo di crescere e migliorare.”
Da allenatrice, rispetto a come giocavi tu ed alla preparazione che facevi tu, come trovi la situazione ora?
“Decisamente migliore. Quando avevo quindici anni e giocavo a Ravenna c’era già la difficoltà di giocare con le mie coetanee e giocavo con i ragazzini, mentre quando ne avevo diciassette ed ero già convocata in nazionale mi allenavo con i giocatori di promozione. Il vantaggio che trovano loro è che trovano campi migliori e professionisti che disegnano per loro una situazione migliore, ed io reputo molto importante che le calciatrici, una volta finita la loro attività sul campo, si cimentino nell’attività di allenatore, perché comunque sai a cosa si va incontro.”
Com’è il calcio femminile a Bologna?
“Per quanto riguarda il settore femminile, noi giochiamo il campionato regionale per maschi e spesso vinciamo, sia per il talento delle ragazze che per la differenza fisica, visto che ho già due ragazze che sono state convocate nell’Under 17. Prima nel campionato UISP stravincevamo, oggi nel campionato FIGC con i maschi il livello è lo stesso ma ci capita di incontrare società i cui giocatori in campo sono tutti diciottenni e lì mi preoccupo per gli infortuni che possono subire le ragazze. Ero d’accordo per la creazione di un campionato intermedio nei campionati Primavera, verso i 16 anni, ma non se ne è fatto nulla. La squadra arriva a metà classifica e sono estremamente contente: non ho l’assillo del risultato e per me l’importante è lavorare bene con le ragazze e farle crescere in un contesto sano perché sono in un momento importante della loro crescita fisica e personale e qui si gettano le basi per diventare grandi donne e grandi giocatrici. Ogni anno si aggregano 40 ragazzine, segno che la strada ormai è stata tracciata. Per quanto riguarda il campionato di Serie C il livello non è male, io mi sento ancora un ottimo giocatore e disputiamo questo campionato regionale con dentro 7 ragazzine della Primavera di cui 4 titolari che hanno la possibilità di maturare, rapportarsi con una realtà diversa e affacciarsi nel giro delle Nazionali e del calcio internazionale: mi è piaciuto molto per esempio il New Team Ferrara che ha avuto il coraggio di schierare ragazzine di 14-15 anni che sono maturate ed hanno vinto il loro campionato.”
Quali sono i progetti lavorativi di Daniela Tavalazzi?
A breve avremo un meeting regionale, dove sarà presente Cabrini, con la UEFA e con l’Isokinetic per illustrare un programma di allenamento volto a diminuire gli infortuni nel campo del calcio femminile grazie ad una serie di benefits, questo per migliorare in maniera posata e graduale l‘aspetto fisico del calcio femminile italiano, aspetto in cui pecchiamo seguendo anche il protocollo Eleven Plus della FIFA che vede già adesioni da parte della Nazionale Cinese e di quella americana e che riduce del 30-40% il numero degli infortuni. Da questo meeting nascerà una relazione con i medici e credo sia già un gran passo fare un meeting dedicato solo al calcio femminile.
Tu hai giocato 20 anni in Nazionale: quale è il ricordo più bello?
“Quando abbiamo vinto una partita in Nazionale con mister Vatta, secondo me un luminare del calcio. E’ stata un’esperienza molto bella perché abbiamo Preparato i mondiali con lui prima che Velasco ce lo portasse via e venisse al suo posto Facchini con cui andammo ai Campionati Mondiali in America e ci qualificammo ottave senza qualificarci per l’anno successivo per l’Australia.
Perdevamo 2-0 contro la Francia nel primo tempo, entrammo negli spogliatoi e lui ci disse in maniera molto serena: “State tranquille, questo è un film che io ho già visto. Voi adesso entrate in campo e questa partita la vinciamo”. Io ero demoralizzata per il risultato ma lui mi caricò con le sue parole e vincemmo quella partita 3-2.
Ed il ricordo più brutto?
Gli Europei che ho fatto con Carolina Morace. Io ho giocato due Europei con lei, il primo come compagna di squadra ed il secondo come allenatrice. Gli Europei furono preparati benissimo, secondo me potevamo fare bene perché avevamo una grande squadra e le prime due partite vincemmo con la Danimarca e pareggiamo con la Norvegia. Noi eravamo matematicamente passate e l’ultima partita era contro la Francia matematicamente fuori. L’unico modo per essere cacciate fuori era che la Danimarca vincesse sulla Norvegia e noi perdessimo con la Francia. Io la sera mi sono trovata a fare le valigie per tornare a casa. Noi tutte, dal mister alle giocatrici, peccammo di presunzione: di solito visionavamo la partita della squadra che affrontavamo ma quella sera rivedemmo la bellissima partita che giocammo contro la Danimarca snobbando la Francia ed in più cambiammo modulo. Le francesi ci fecero due gol in un quarto d’ora e anche mettendo a posto il modulo non siamo riuscite a ribaltare la partita.
Cosa ti ha dato il calcio?
Il calcio mi ha dato tanto, la possibilità di viaggiare, di rapportarmi con tante persone, di crescere tanto anche sotto il lato caratteriale e quello che sto esprimendo adesso è frutto di quello che ho appreso negli anni. Io non pensavo di poter fare l’allenatore ma lavorando nel campo riabilitativo ed ho allenato grandi campioni come Roberto Baggio, Luca Toni, Roberto Signori e mi sono messa in gioco fino ad arrivare ad allenare.
Cos’è per te il calcio?
Il calcio per me è una passione ed una dote innata che tu perfezioni con un percorso di vita. Per le esperienze che ho avuto io il calcio è vita: se tornassi indietro rifarei lo stesso percorsi compresi tutti i sacrifici. L’unico rammarico che ho è che lavorando a contatto con tanti professionisti vedo le due strade molto diverse ma credo che il vantaggio della strada del calcio femminile è che è meno spianata rispetto a quella del calcio maschile e si rischia di perdere dei valori che invece il calcio e lo sport dovrebbero rafforzare: lotte, sfide, battaglie… tutte queste cose le affronti avendo affianco persone che diventano molto importanti nella tua vita. Anche adesso con le enormi difficoltà che incontro ora la passione mi accompagna e mi guida nel far trovare alle ragazze le stesse opportunità che hanno i ragazzi e così continuo a fare sacrifici con grande volontà.