Un derby alla terza giornata di campionato, tra una squadra a un punto e una a secco e un Inter-Juventus a catalizzare su di sé l’attenzione di tutta l’Italia calciofila. Quasi tutta. Perché per la piccola Genova la sua stracittadina non perde nemmeno un goccio del suo fascino. Pazienza se quest’anno per entrambe l’unico obiettivo saranno i 40 punti, pazienza se non ci sono più Cassano, Milito, Pazzini o Palacio. Questa sera, Genova si fermerà. In tutti i sensi (provateci voi a spostarvi in macchina dalle parti del Ferraris la sera del derby).
Insomma, genoani e sampdoriani stanno vivendo le ore pre-derby con la consapevolezza che fuori dai confini della Liguria in pochi saranno interessati alle gesta delle loro squadre. Non che a noi genovesi dispiaccia. Intendiamoci, non godiamo ad avere due squadre senza particolari ambizioni a rappresentare la Superba, ma certo non ci manca l’attenzione dei “foresti”. Non è cattiveria, siamo così di carattere. Preferiamo vivere i nostri riti ai riflettori di chi, per quanto si possa sforzare, non potrà mai capire cosa sia realmente il nostro derby.
E’ innanzitutto menarsela a vicenda, prima, durante e soprattutto dopo la partita. Ma andiamo con ordine. C’è un prima: attesa, analisi tattiche e rievocazioni del passato. Gli anziani diventano archivi viventi di aneddoti, e seduti ai tavolini dei bar si accusano a vicenda di ogni singolo gol in fuorigioco, rigore inesistente o non concesso delle 103 edizioni precedenti. Nessun pronostico, assolutamente vietato.
C’è un durante in cui Genova è immobile e senza fiato, in cui anche il miglior amico diventa per 90 minuti avversario e nemico. Non c’è in gioco il primato cittadino, come spesso si sente dire. C’è in gioco l’esclusiva sulla bandiera di Genova. “Siete ospiti, siete ospiti” si urlano a vicenda la gradinata sud e la gradinata nord, ognuna convinta della propria miglior genovesità.
C’è un dopo: traffico, clacson, trombette ed esultanze dei vincitori, e giustificazioni degli sconfitti, che “si, noi facciamo anguscia, ma che culo gli altri”, e ancora piogge di sms di scherno che, puntuali, arrivano subito dopo il triplice fischio da quando son stati inventati i cellulari. “Antisportivi. Non sanno vincere”, commentano gli sconfitti che l’sms lo ricevono, salvo poi ripetere lo stesso rituale a parti invertite.
E poi, infine, c’è un sempre, in cui il campo tace e l’onore delle due squadre è affidato alla dialettica dei tifosi, che provano per 365 giorni all’anno a convincere gli avversari della propria superiorità. “Ma noi abbiam vinto 9 scudetti“. “Belin però ai tempi del duce. Noi, piuttosto, l’abbiam vinto nel ’91 che c’erano delle squadre della madonna e siamo anche andati in finale di Coppa Campioni“. “Sempre li andate a finire non avete altro da dire? In Europa ci siam stati anche noi e abbiamo battuto il Liverpool”, e così via. Si potrebbe andare avanti per ore, e spesso succede. Fino al derby successivo.