Dopo 5 anni e mezzo alla guida dell’Irlanda, Giovanni Trapattoni ha lasciato il posto di allenatore “consensualmente” con la Federazione ed è doveroso tracciare un piccolo bilancio, soprattutto in relazione a quanto sia stato effettivamente apprezzato il suo lavoro. Una mossa, l’addio, che era nell’aria, dato che il contratto del Trap sarebbe in ogni caso scaduto al termine di queste qualificazioni o, nell’ipotesi migliore, alla fine della rassegna iridata in Brasile. Un epilogo, però, salutato con sollievo da troppi tifosi che, probabilmente, non hanno compreso del tutto il valore del lavoro dell’allenatore di Cusano Milanino.
Non solo, proprio con l’arrivo dell’allenatore italiano la Nazionale irlandese stava affrontando un ricambio generazionale quasi traumatico. Pian piano si erano ritirati (o non erano più all’altezza) molti grandi nomi della generazione precedente, obbligando Trapattoni a cercare nuovi talenti, che effettivamente talenti non erano (e non sono). In una nazione di 4,5 milioni di abitanti, dove il calcio è il quarto sport più popolare (dopo hurling, gaelic football e rugby), con una Premier Division che chi vi scrive faticherebbe a paragonare a alla serie C italiana (pur essendo un campionato avvincente e interessante se preso singolarmente), trovare una nuova generazione di calciatori per la Nazionale era un’impresa. Nonostante ciò, pronti, via: girone di qualificazione al Mondiale 2010, secondo posto dietro l’Italia e spareggio con la Francia. Molto si è detto della “mano” di Henry che portò al gol decisivo per i galletti nella sfida di ritorno ma, a prescindere da questo, il risultato era comunque nettamente migliore di tutto quanto visto nei 6 anni precedenti.
Riassunto ciò, cosa resta dei 5 anni in “verde” di Trapattoni? L’entusiasmo dei tifosi è svanito soprattutto dopo la prestazione agli Europei della scorsa estate, ma molti non hanno mai visto il Trap di buon occhio per diverse ragioni: un gioco troppo lineare e difensivista, poca rotazione negli uomini e uno stipendio molto alto (pagato per metà da Denis O’Brien, milionario irlandese con a cuore le sorti della Nazionale). Come sempre, più aspetti combinati portano a un giudizio forse distorto. Non siamo più a fine anni ’90, con i titolari irlandesi che giocavano nelle grandi squadre di Premier. Oggi i convocati arrivano dalle squadre di Championship, e non sono nemmeno le stelle dei loro rispettivi Club. Ci sono circa 30-40 giocatori tra cui pescare, di cui la metà almeno non sono comunque all’altezza del calcio internazionale. In tutto questo, il lavoro del Trap è stato e deve essere considerato positivo. In tre campagne di qualificazione consecutive, due hanno portato all’accesso al torneo maggiore (ok, una e mezza, chiedete ad Henry). Un risultato che non si vedeva dal biennio Euro88–Mondiali90, quando i calciatori in squadra erano dei fenomeni veri (e il prolungamento poi di USA94). Successivamente, invece, con la “generazione del 2002” era arrivato solo quel Mondiale e nient’altro.
Il gatto è scappato di nuovo. Ma era stato Giuanin a metterlo nel sacco, questo non bisogna dimenticarlo.