Irlanda: Trapattoni, il gatto non è più nel sacco

Dopo 5 anni e mezzo alla guida dell’Irlanda, Giovanni Trapattoni ha lasciato il posto di allenatore “consensualmente” con la Federazione ed è doveroso tracciare un piccolo bilancio, soprattutto in relazione a quanto sia stato effettivamente apprezzato il suo lavoro. Una mossa, l’addio, che era nell’aria, dato che il contratto del Trap sarebbe in ogni caso scaduto al termine di queste qualificazioni o, nell’ipotesi migliore, alla fine della rassegna iridata in Brasile. Un epilogo, però, salutato con sollievo da troppi tifosi che, probabilmente, non hanno compreso del tutto il valore del lavoro dell’allenatore di Cusano Milanino.

Arrivato nel maggio 2008, aveva preso in mano una Nazionale disastrata dalla gestione Staunton e da quella precedente, ampiamente mediocre, di Brian Kerr. L’ultimo torneo maggiore raggiunto era il Mondiale nippo-coreano del 2002, con la golden generation dei Given, Duff, Harte, Gary Kelly, Kilbane, McAteer, Keane, Quinn, Staunton, e lo stupendo risultato degli ottavi di finale persi solo ai rigori contro la Spagna. Da lì in poi un crollo continuo, con gestioni tecniche al limite dell’incubo e risultati talvolta imbarazzanti (si veda la sconfitta per 5-2 a Cipro nel 2006, per esempio). Assumere il Trap significava, ovviamente, sapere in anticipo a cosa si andava incontro: un allenatore pragmatico, poco incline alle variazioni in corsa, in grado di motivare il gruppo per raggiungere un obiettivo e capace di cementare un movimento che stava cadendo a pezzi.

Non solo, proprio con l’arrivo dell’allenatore italiano la Nazionale irlandese stava affrontando un ricambio generazionale quasi traumatico. Pian piano si erano ritirati (o non erano più all’altezza) molti grandi nomi della generazione precedente, obbligando Trapattoni a cercare nuovi talenti, che effettivamente talenti non erano (e non sono). In una nazione di 4,5 milioni di abitanti, dove il calcio è il quarto sport più popolare (dopo hurling, gaelic football e rugby), con una Premier Division che chi vi scrive faticherebbe a paragonare a alla serie C italiana (pur essendo un campionato avvincente e interessante se preso singolarmente), trovare una nuova generazione di calciatori per la Nazionale era un’impresa. Nonostante ciò, pronti, via: girone di qualificazione al Mondiale 2010, secondo posto dietro l’Italia e spareggio con la Francia. Molto si è detto della “mano” di Henry che portò al gol decisivo per i galletti nella sfida di ritorno ma, a prescindere da questo, il risultato era comunque nettamente migliore di tutto quanto visto nei 6 anni precedenti.

Smaltita la delusione di Parigi, l’Irlanda ha poi tenuto un cammino solido nel girone verso Euro 2012, chiudendo seconda dietro alla Russia e vincendo agevolmente lo spareggio contro l’Estonia. Qualificazione ottenuta. Il primo Europeo dal 1988, ventiquattro anni prima. In Polonia e Ucraina, però, un gruppo di giocatori troppo impauriti dal grande evento e la testardaggine tattica del Trap hanno portato a una brutta eliminazione, con zero punti in tre partite. Infine, la storia recente: verso Brasile 2014, in un girone oggettivamente proibitivo con Germania, Svezia e Austria, l’Irlanda è arrivata fino a tre turni dalla fine con tutte le carte in mano per giocarsi il biglietto d’accesso. Non è andata bene, per manifesta superiorità degli avversari, e chiuderà probabilmente in quarta posizione, ma resta comunque un risultato accettabile in relazione alla difficoltà degli avversari.

Riassunto ciò, cosa resta dei 5 anni in “verde” di Trapattoni? L’entusiasmo dei tifosi è svanito soprattutto dopo la prestazione agli Europei della scorsa estate, ma molti non hanno mai visto il Trap di buon occhio per diverse ragioni: un gioco troppo lineare e difensivista, poca rotazione negli uomini e uno stipendio molto alto (pagato per metà da Denis O’Brien, milionario irlandese con a cuore le sorti della Nazionale). Come sempre, più aspetti combinati portano a un giudizio forse distorto. Non siamo più a fine anni ’90, con i titolari irlandesi che giocavano nelle grandi squadre di Premier. Oggi i convocati arrivano dalle squadre di Championship, e non sono nemmeno le stelle dei loro rispettivi Club. Ci sono circa 30-40 giocatori tra cui pescare, di cui la metà almeno non sono comunque all’altezza del calcio internazionale. In tutto questo, il lavoro del Trap è stato e deve essere considerato positivo. In tre campagne di qualificazione consecutive, due hanno portato all’accesso al torneo maggiore (ok, una e mezza, chiedete ad Henry). Un risultato che non si vedeva dal biennio Euro88Mondiali90, quando i calciatori in squadra erano dei fenomeni veri (e il prolungamento poi di USA94). Successivamente, invece, con la “generazione del 2002” era arrivato solo quel Mondiale e nient’altro.

Oggi l’Irlanda è tornata a essere una piccola Nazionale di calcio, in attesa di una nuova nidiata di campioni (si veda il Belgio attualmente, per esempio), intenta a non crollare nell’anonimato come stanno rischiando invece Scozia e Galles (due esempi perfetti di cosa voglia dire passare attraverso un duro ricambio generazionale). Trapattoni ha commesso degli errori, ovviamente. Non ha quasi mai cambiato la formazione in corsa, ha sempre puntato al difendere prima che attaccare ed è stato limitato dalla barriera linguistica nel suo approccio motivazionale. Però i calciatori l’hanno sempre seguito e, dati alla mano, sono arrivati i migliori risultati dell’ultimo decennio. Alle volte (soprattutto nel caso delle Nazionali) bisognerebbe giudicare il lavoro di un allenatore sul lungo periodo, restando sempre consapevoli delle potenzialità assolute a disposizione. Tutti vorrebbero giocare “tipo Barcellona” almeno una volta, ma non tutti possono permetterselo. Il Trap ha portato il suo calcio e, nonostante tutto, ha ottenuto risultati migliori del previsto. E migliori anche di quanto gli si riconosca oggi, in patria. Chi vi scrive spera sempre il meglio per la Nazionale del “trifoglio” ma, probabilmente, solo il tempo farà capire quanto questi 5 anni siano stati positivi.

Il gatto è scappato di nuovo. Ma era stato Giuanin a metterlo nel sacco, questo non bisogna dimenticarlo.