Barcellona, tra Indipendenza catalana e schiavitù da Tiki-Taka
BARCELLONA – Cori, tamburi, bandiere e tantissima gente per le strade. No, non si festeggia una vittoria importante di chissà quale trofeo del Barça. Questa è una storia diversa, un motivo (tra i tanti) per dichiarare la propria identità nazionale: oggi è la Diada Nacional de Catalunya e per le strade di Barcellona si respira un’atmosfera magica.
L’evento che si festeggia ogni anno nella Ciutat Comtal proprio in questa data è forse la più singolare delle ricorrenze. Infatti, la Catalunya non festeggia una vittoria, ma una sconfitta, quella del 1714, quando l’allora Principato di Catalunya venne sconfitto definitivamente dalle truppe borboniche di Filippo V nella guerra di Successione spagnola, dopo 14 mesi di assedio.
Un fatto storico che ha sancito la fine di una delle democrazie più antiche dell’epoca, inglobata da una storia che gli appartiene solo a metà. Per non parlare delle restrizioni linguistiche avvenute due secoli dopo con Francisco Franco. Come un continuo tentativo di annacquare e dissolvere le culture di queste terre che invece hanno resistito testardamente. C’è da dire però che la voglia di indipendenza poche volte si è manifestata con atti pratici. Svariati sono stati i tentativi di referendum falliti per la poca partecipazione della popolazione, una popolazione che invece in piazza ci scende eccome.
Nella giornata di oggi, per esempio, è stata organizzata una “Via Catalana” che ha dell’incredibile. Una catena umana che percorrerà la Catalunya da nord a sud. Un percorso stabilito che collegherà migliaia di catalani uniti per mano (sono previsti più di 400.000 partecipanti). A difesa di un’identità, di una filosofia che spesso però può diventare schiavitù.
Lungi da me affermare che i catalani non abbiano buoni motivi per crederci, né voglio fare prediche e paragoni assurdi con un pensiero-politico-marcio nostrano. Ma tutto ciò mi sembra anacronistico, quasi a formare una spirale da cui se ne può uscire solo con dei cambiamenti.
Prendo l’esempio delle recenti dichiarazioni di Gerard Piqué, mica un catalano qualunque. Certo sono due storie diverse, ma talmente intrecciate tra loro che mi pare quasi scontato trovare delle similitudini.
“Abbiamo giocato gli ultimi anni con allenatori della casa, prima Pep e poi Tito, e forse abbiamo finito con l’esasperare il nostro stile di gioco al punto che ci siamo ritrovati schiavi del sistema, di quello stile. Ora è arrivato il Tata, che viene da fuori, che condivide la stessa idea di calcio, il tener palla, però ci sta mostrando opzioni diverse. E la cosa è molto positiva, perché ci offre varianti.
Le varianti – Tra le righe del settimanale ExtraTime esce fuori un quadro che più o meno ci eravamo immaginati. Un Barcellona stanco e schiavo di quel possesso palla asfissiante, noioso e ultimamente anche scontato che tanti trofei ha portato nella bacheca del Camp Nou.
“Quando ci pressano, fare un paio di lanci lunghi non è negativo, serve per cambiare gioco, ossigenare, evitare che ci schiaccino e ci lascino senza uscita. Abbiamo ricominciato a pressare molto alto, a recuperare la palla nella trequarti avversaria e da lì è molto più facile creare occasioni che non iniziare da dietro, soprattutto contro squadre che si chiudono tanto. È normale provare a sviluppare nuove idee, variazioni sul tema: dopo tanti anni gli avversari ovviamente sanno come attacchi, come ti muovi. Prendi Alves e Alba: spingono tanto e alcuni avversari ci lasciavano le fasce chiudendosi in mezzo. Diventava difficile entrare. Bisognava trovare soluzioni alternative e il Tata lo sta facendo senza intaccare il nostro stile: il possesso è sempre quello. Sono varianti di cui avevamo bisogno”.
Di nuovo le varianti – Mantenere la propria identità ma trovare nuove strade. Cambiare direzione a volte può essere la soluzione migliore per tutti, come l’arrivo di Neymar pronto a curare la Messi-dipendenza e capace di giocate adattabili a stili di gioco sempre nuovi. Che sia proprio questo il fulcro di tutto? Rinnovare lo stile mantenendo sempre la tua filosofia, la tua cultura e i tuoi sentimenti. Sarebbe l’ennesima lezione del cacio sui rapporti interpersonali. Mica poco.