Home » La pausa e la grinta

Con buona pace di fantacalcisti e appassionati dei campionati italiano e internazionale, siamo in piena pausa. Dopo pochi turni, i principali tornei europei per club si sono fermati, per permettere alle squadre nazionali di giocare la partite di qualificazione.

Allo spettatore-tifoso medio, oltre alla partita dell’Italia, rimane poco. Certo, la Serie B offre a tratti motivi di interesse ma, senza una vicinanza campanilistica con questo o quell’altro club, l’emozione dura poco.

Ho sempre trovato strana la pausa, con quelle partite piazzate in orari serali e i pomeriggi tremendamente vuoti. Se siamo abituati a goderci Vidal o Lampard una domenica sì e l’altra pure, questi piccoli bocconi di qualificazioni alla Coppa del Mondo non possono bastare.

Mai, perché non è la stessa cosa (e perché le partite sono spesso in contemporanea). In verità qualcosa di buono c’è, visto che troppo spesso il legame fra gli italiani e la Nazionale si accende troppo poco. Difficile che qualcuno rimanga a casa e rinunci alla cena del venerdì sera se c’è Italia-Bulgaria delle qualificazioni. Certo, se il ristorante la trasmette il posto di fronte al televisore è una garanzia, ma sono gare che non muovono troppo l’emozione.

Al contrario, ogni due anni ecco che il paese si ferma, in preda ad una passione “patriottica” bella ma fino a un certo punto, se si fanno le proporzioni proprio con quanto accade durante il biennio. Una delle cose belle della mancanza, invero tragica, di uno Stade de France o di una Wembley nostrana, è che la nazionale itinerante accende le passioni di varie piazze durante il biennio, ma la sensazione è che oltre alle grandi manifestazioni bisognerebbe andare.

Lontani dagli 85mila spettatori londinesi per una non impronosticabile sfida interna a San Marino, e se vogliamo anche lontani dalla passione che svariate parti del globo esibiscono per i colori delle squadre nazionali qualunque sia l’avversario, c’è comunque il sentore che con il ciclo di Cesare Prandelli qualcosa si sia mosso.

Non vorrei essere frainteso: il paese segue e ama la nazionale da sempre, è l’intermittenza che preoccupa, anche se con l’uomo di Orzinuovi si avvertono sentimenti nuovi, impressioni diverse. Probabilmente, l’ex tecnico della Fiorentina ha sdoganato in azzurro giocatori che altrimenti questa maglia non l’avrebbero mai vista (ricordate l’ostracismo dei precedenti ct nei confronti di chi giocava all’estero, o non era in un top club di Serie A?), pur senza rinunciare a scatenare polemiche a volte sterili (Giaccherini) a volte motivate (Osvaldo).

E allora, nella noiosissima (per quanto riguarda i pomeriggi) pausa, mi viene da dire che Prandelli è quanto di meglio potesse capitare all’Italia. Per lo spirito che sembra metterci, per quella capacità di motivare i giocatori, di tirar fuori il massimo da ognuno di loro.

Resto convinto che perché l’Italia trionfi in Brasile servano delle condizioni tutte particolari, oltre che un po’ di fortuna, ma a questa Nazionale non mancheranno mai voglia, grinta e abnegazione. Caratteristiche riscontrabili in tutti i giocatori, non solo nei classici gregari di centrocampo. Forse è proprio questo a piacere di questi azzurri: ce la mettono tutta, per banale che possa sembrare. Di più contro le potenze che contro le altre, ma si può migliorare.

Post scriptum: tutto da valutare il dopo Prandelli. Fra i vari nomi fatti (visto che per Conte pare davvero presto), importante trovare un motivatore oltre che un tattico. E magari evitare i nomi di chi è abituato a schierare sempre e comunque 11 campioni dal profilo internazionale. A buon intenditor….