Dov’eravamo rimasti? Già, ad un’Italia buttata fuori da una competizione internazionale dalla Spagna campione di tutto e, a questo punto, anche campione della noia, visto che vince ininterrottamente dal 2008. Qual è la novità? In realtà, è come se non fosse passato il tempo. Questo è quello che ci direbbero i risultati, se solo potessero parlare. Ma il bello del calcio, e di ogni altro sport, è che non si può riassumere tutto in termini di numeri, per quanto questi siano importanti. Ebbene, la Nazionale di Cesare Prandelli ha fatto passi da gigante rispetto a quella di Donadoni (2008) o di Lippi (2010). Ed è addirittura meglio se paragonata a quella dello stesso Cesare, che nel 2012 si inginocchiò al cospetto di sua Maestà Spagna nella finale degli Europei (4-0 e ci poteva andare anche peggio).
Durante l’ultima Confederations Cup, le Furie Rosse hanno dovuto far ricorso al settimo rigore e alla loro buona dose di fortuna, chiamiamola così, per avere la meglio su un’Italia più grande rispetto a quella che si era vista dodici mesi prima. Possiamo ripartire proprio da lì e dal terzo posto ottenuto in Brasile per costruire il nostro sogno. Ma per farlo occorre riprendere ciò che abbiamo lasciato a metà: quel Girone B delle qualificazioni che ci vede sempre più lanciati verso un posto al sole in Brasile. Per la verità, abbiamo superato indenni l’ultima trasferta, la più insidiosa, per il rotto delle cuffie, trascinati dalla vena del nostro capitano. Ora dobbiamo ingranare nuovamente la marcia e abbiamo due ghiotte occasioni per farlo: stasera a Palermo contro la Bulgaria (seconda forza del girone) e martedì a Torino, ancora contro la Cechia.
Un doppio impegno casalingo in cui non è contemplato sbagliare, se non altro per affrontare le ultime due gare di ottobre (contro Danimarca e Armenia) senza particolari patemi e con il lusso di poter sperimentare nuovi moduli e nuovi interpreti. La Nazionale del passato, probabilmente, si accontenterebbe di 4 punti, ma questa non può, non deve farlo. Glielo chiediamo noi tifosi, perché non si può crescere se non lo si fa, anzitutto, nella mentalità. Lo chiediamo in primis a Prandelli, perché indipendentemente dai prossimi Mondiali, ha l’obbligo di lasciare in eredità al suo successore un gruppo maturo.
La strada per Brasile 2014 è sempre più corta e man mano che si procede, si rischia di vanificare quanto di buono fatto finora. Da Prandelli e dagli Azzurri, dunque, ci aspettiamo concentrazione e un po’ di sana cattiveria agonistica per staccare quanto prima il biglietto per il Sud America. Poi riprenderemo a pensare alla Serie A, che si preannuncia equilibrata, scoppiettante e ricca di risorse per la stessa Nazionale. Il campionato può attendere, ci dedicheremo nuovamente a lui fra poco più di una settimana (si riprende col botto: Inter-Juve), ma vorremmo farlo con la tranquillità di chi ha già iniziato a sognare una nuova avventura mondiale.