Home » Il figliol prodigo

Vabbè, forse come titolo è un po’ esagerato: in fondo Daniele De Rossi non ha mai lasciato quella che ha sempre considerato casa sua. Solo che, da qualche tempo a questa parte, non è più stato il solito. Il solito lottatore a centrocampo ma con i piedi da rifinitore, il solito leone indomabile che, se necessario, avrebbe seguito l’avversario persino negli spogliatoi. Il solito De Rossi, insomma.

In gioco sembrava essere non tanto il rapporto con i compagni o con la società (che nel frattempo gli ha anche rinnovato il contratto), quanto il feeling con i tifosi: fischi, critiche (nemmeno tanto velate) e insulti che De Rossi non ha mai gradito, dato che per la maglia ha sempre dato il 110% di se stesso. L’ambiente romano, si sa, è così: è in grado di esaltarti alla follia, anche più del necessario se rientri nelle grazie dei tifosi. Specie se vesti di giallorosso più o meno da quando sei in grado di tifare per una squadra. Non una squadra qualsiasi ma quella della tua città, quella a cui dedicavi le domeniche pomeriggio per seguirla allo stadio con papà. L’arma, però, è a doppio taglio perché basta un nulla per passare dalle stelle alle stalle; una stagione (e mezza) giocata al di sotto delle tue potenzialità, unito a pettegolezzi che col calcio c’entrano poco, possono renderti la vita un inferno.

Puoi scappare dal tuo nido, perché in fondo sei grande abbastanza per prendere decisioni senza dover rendere conto a nessuno; oppure rimanere a casa, stringendo i denti e facendo finta di non sentire. De Rossi ha scelto la via più difficile, cioè la seconda: e tornare al gol dopo 400 e passa giorni di astinenza posso dire – a mente fredda – che sia il giusto riconoscimento a un sacrificio importante. Attenzione: non sto santificando chi, per rimanere a Roma, ha accettato un contratto che (probabilmente) nessun’altra squadra al mondo gli avrebbe garantito; sto solo affermando che l’odierna rivincita di Daniele è la logica (neanche troppo) conseguenza delle azioni fatte. Ossia rimanere e aspettare il proprio momento, quasi fosse un giovane in rampa di lancio.

De Rossi Roma PPIn rampa di lancio come la sua amata seconda metà, quella Roma che negli ultimi anni ha dispensato più sofferenze che gioie: è presto per emettere sentenze di terzo grado, ma Rudi Garcia sembra aver finalmente restituito alla Lupa quell’equilibrio e quell’acume tattico che Luis Enrique, Zeman e Andreazzoli non erano stati in grado di dare. Il tutto con De Rossi al centro del progetto, non solo emotivamente ma anche tecnicamente: tutto ciò che di buono ha fatto vedere la Roma, infatti, è passato dai piedi di Daniele, che al gol segnato ha reagito come un bambino impegnato a scartare i regali di Natale. Anche in questo caso, però, prudenza: il progetto Roma è molto lontano dall’essere solido, viste le cessioni di Marquinhos, Osvaldo, Lamela e la probabile partenza di Pjanic. Ma di questo ne abbiamo già parlato abbastanza.

Al di là delle comunicazioni per via telefonica (su cui non posso esimermi dal fare un po’ d’ironia), di Rudi Garcia ho apprezzato molto il dialogo intenso avuto dal primo momento con De Rossi: l’allenatore francese non ha mai messo in discussione il suo vice-capitano, e a quanto pare non erano soltanto parole al vento. Oltre agli insistenti richiami tattici, infatti, anche tecnicamente sembra che il centrocampo sia totalmente nelle mani del mediano nativo di Ostia.

La resurrezione calcistica di De Rossi potrebbe davvero essere un lasciapassare per Rudi Garcia, un modo come un altro per far capire alla dirigenza (e al calcio italiano) di essere riuscito – in pochi mesi – laddove in molti hanno fallito: e in ottica Brasile 2014, onestamente, da italiano non posso far altro che essere felice di questo. Così come Prandelli.