Per la prima volta negli ultimi anni l’Italia del Basket avrebbe potuto dire la sua in una manifestazione di rilievo: gli Europei (ormai prossimi) che si disputeranno in Slovenia. Il buon percorso iniziato l’estate scorsa da Pianigiani, finalmente, sarebbe potuto terminare con un buon piazzamento in una rassegna così importante nel panorama della palla a spicchi. Il minimo indispensabile ai tempi di Meneghin e Fucka, ma in tempo di “carestia sportiva” meglio non buttare nulla.
Avrebbe, sarebbe, potrebbe: sempre al condizionale, e probabilmente rimarrà tale. Tutto è iniziato quando Danilo Gallinari, nel tentativo di aggredire il canestro come suo solito, si è rotto il crociato dando addio ai sogni di gloria dei Denver Nuggets, sino a quel momento una delle migliori squadre della Western Conference. Stagione terminata, playoff compresi, e la consapevolezza di non poter aiutare la propria nazionale in estate; Danilo salterà, inoltre, anche il training camp con la franchigia del Colorado, oltre che i primi mesi di stagione regolare.
L’ecatombe dell’Italbasket è poi continuata grazie a Daniel Hackett, stella della Montepaschi Siena, falcidiato da un infortunio che si è trascinato dietro dagli scorsi playoff, di cui è stato il miglior giocatore. La FIP è rimasta a lungo in polemica con il playmaker nativo di Pesaro, ma di questo argomento parleremo più avanti.
Con il naturalizzato Diener, Datome, Belinelli e soprattutto Bargnani, però, gli azzurri avrebbero comunque potuto lottare per il passaggio del turno: il probabile forfait di Andrea, però, ci proietta direttamente in fondo alla griglia di partenza del nostro girone. Sarà molto difficile avanzare ai turni a eliminazione diretta, sia per l’elevato tasso tecnico dei nostri avversari (Russia, Turchia e Grecia sono favorite per la vittoria finale) sia perché l’assenza di lunghi inizia a essere molto pesante, considerando che anche il buon Gigli non è al meglio della condizione. Piove sempre sul bagnato, insomma.
Prevenire una polmonite è difficile, specie nel caso in cui questa sia molto grave, come nel caso del Mago: non possiamo però esimerci dal criticare, per l’ennesima volta, un’organizzazione che a volte sarebbe di scarso livello persino per una squadra di Serie C regionale. Qui però stiamo parlando della Nazionale Italiana, una rappresentativa che solo nove anni fa – proprio in questo periodo – vinceva l’argento olimpico, piegata soltanto dall’Argentina di un incantevole e ammaliante Manu Ginobili.
Quasi un decennio dopo, invece, siamo alle prese con infortuni minimizzati per chissà quale motivo, polemiche nei confronti dei propri atleti e la consapevolezza che, senza Pianigiani e il suo staff, saremmo davvero dilettanti allo sbaraglio. Sono due anni che Bargnani praticamente non tocca il parquet da gioco, ma se la colpa nei casi precedenti era dei Toronto Raptors, da anni maestri nell’insegnare all’NBA come non gestire una franchigia professionistica, adesso invece lo staff della nazionale ha prima pubblicato un comunicato stampa quasi rassicurante (in fondo una polmonite può venire a tutti), salvo poi dichiarare ko l’atleta fresco di trasferimento ai New York Knicks.
Questo scivolone della FIP, come anticipato prima, non è l’unico in questa lunga, lunghissima estate di avvicinamento agli Europei: come detto prima, i vertici della pallacanestro italiana hanno polemizzato nei confronti di Hackett, reo secondo loro di aver parlato solo tramite il proprio procuratore. Giustissimo: un atteggiamento da punire perché arrogante e irrispettoso, ma in pochi hanno sottolineato come Hackett volesse davvero esserci agli Europei, temendo però che il trattamento di cui aveva bisogno fosse perseguibile dall’antidoping. Non avendogli dato garanzie a riguardo, la FIP ha preferito scaricare la colpa sul giocatore, invece di prendersi le proprie responsabilità.
Ma quando mai. L’impressione è che questa nazionale (la prima a poter vantare numerosi NBA nella propria rosa) resti per sempre quella del condizionale: se fossero stati tutti sani, se avessero fatto più esperienza insieme, se non fosse successo questo e quest’altro. Sempre se, se e poi se. Mai un sì convinto e urlato, come dopo ogni bella vittoria rigenerante.