La fine dell’era Anzhi: cause, effetti e conseguenze
Se ne sono sentite di tutti i colori in questi giorni riguardo la decisione di Kerimov di interrompere, o meglio, di diminuire pesantemente il suo impegno economico nel processo di sviluppo dell’Anzhi. Tanti commenti superficiali, tesi a generalizzare questa situazione con quelle analoghe (ma diverse) di altri club gestiti da facoltosi presidenti e a dare una visione incorretta della realtà, con l’immancabile chiusura moralista, “hanno solo i soldi”.
Perché in Italia, negli ultimi tempi, è venuta sempre più di moda l’abitudine di screditare chi ci mette i soldi e la faccia. Tutto questo era ovviamente lecito nel Belpaese una ventina d’anni fa, quando girava la moneta, adesso che il denaro (non abusiamo del vocabolo “petroldollari” che in Russia sarebbero peraltro difficilmente utilizzabili data la diversa valuta) circola nelle classe di società di altri luoghi investire cercando di acquisire le prestazioni dei migliori calciatori offrendo di più (non una trovata futuristica, ma di sicuro successo) viene visto attraverso lo specchio della moralità. Tradotto, noi abbiamo il prestigio (?), i calciatori non vengono da noi solo perché mercenari; un po’ come la storia della volpe e dell’uva. A tal proposito mi piacerebbe citare un editoriale pubblicato sulla Gazzetta dello Sport nell’agosto del 2011. Il giornalista definiva la Russian Premier League come un circo, in cui il re leone Samuel Eto’o non sarebbe dovuto andare. Sintesi straordinaria del pressapochismo e dei pregiudizi che spesso e volentieri pervadono l’italiano medio (mi scusi per l’umile citazione un genio come Maccio Capatonda) quando cerca di capire cosa succede all’estero (un piteco, come direbbe un noto personaggio del web).
Ma non è mia intenzione parlare della maniera nella quale viene trattato il calcio estero in Italia, l’obbiettivo di questo articolo non è altro che spiegare con chiarezza cosa è stato il progetto Anzhi, chi è Kerimov, quale sarà il futuro del club: in pratica, spiegare cosa sta succedendo a Makhachkala.
Il rapporto tra il presidente Suleiman Kerimov e l’Anzhi contiene in sé una differenza sostanziale rispetto agli altri club controllati da facoltosi imprenditori (ad esempio Manchester City, Monaco o Paris Saint Germain). Kerimov, nativo di Derbent, non ha fatto altro che investire nella squadra della città più importante della propria regione; diversamente da Rybolovlev ha deciso di instaurare un processo di crescita concreto del calcio nel Daghestan. Per cui titolare che “Kerimov faceva dell’Anzhi il proprio giocattolo e adesso si è stufato”, mi sembra davvero fuoriluogo. Grazie a lui a Makhachkala sono arrivate stelle di livello internazionale (con tutto il rispetto per splendidi giocatori come Holenda, Josan, Tsoraev…), risultati spaventosi in un brevissimo lasso di tempo e soprattutto uno stadio nuovo e infrastrutture per l’accademia giovanile. Cosa c’è di male se un riccone decide di usare i propri soldi per un bene comune? In Daghestan il calcio è molto sentito e il club di Makhachkala è motivo di orgoglio per tutta la regione, terra di cultura e storia ultracentenaria. Riduttivo, offensivo ed errato dimenticare tutto questo. Anche Dimitrij Rybolovlev poteva decidere di usare le sue proprietà per collaborare al progetto di crescita del calcio russo (movimento che dovrà ospitare il mondiale tra cinque anni): non l’ha fatto, ha deciso di puntare su un club dalla location straordinaria come il Monaco. Un’occasione persa, probabilmente, ma con i propri soldi ognuno fa quello che vuole….
Noi di Mondopallone già vi avevamo raccontato l’attaccamento dei daghestani alla lora squadra, con l’intervista alla simpatica miss Yulduz Dzhumandykova. L’Anzhi, quindi, è molto diverso dalle altre realtà sopracitate, perché fa da traino a una regione peraltro culturalmente fiorente e ricca umanamente (tant’è che sulle maglie del club non è presente alcuno sponsor, soltanto la scritta di una associazione benefica). Ma fare di tutta l’erba un fascio spesso è molto facile, documentarsi implica tempo e fatica.
Ora arriviamo però alle ragioni della decisione di Suleiman Kerimov, che ha deciso in maniera abbastanza improvvisa di ridurre a 50 milioni complessivi il patrimonio da investire nel club: cosa è successo? A scatenare la miccia è stato Igor Denisov, capitano della nazionale russa che già dodici mesi fa aveva messo in subbuglio lo spogliatoio dello Zenit. Una testa calda (in Russia modificherebbero il secondo termine, magari), insomma. Il centrocampista (con l’altro nuovo arrivato Kokorin) avrebbe spaccato lo spogliatoio, accusando gli stranieri di essere lì soltanto per soldi, insultandoli anche con epiteti razzisti (questo è quanto esce da Makhachkala). Nel contempo, alcune azioni di Kerimov sono crollate drasticamente e il presidente continua a patire ripetuti esaurimenti nervosi: stufo di stare male per il calcio avrebbe optato per limitare il suo impegno. Difficile che la causa di tutto ciò sia stata la mancanza di risultati: l’Anzhi ha compiuto passi da gigante clamorosi, e soltanto uno sciocco avrebbe preteso di vincere subito.
È una sconfitta per il calcio russo? Forse, ma soltanto sul piano della visibilità all’estero. Kerimov potrà aver fatto una figura barbina, ma gli va dato atto di aver avuto la forza di tornare sui propri passi e di non aver perseverato in una politica di acquisizione incondizionata dei giocatori che si era rivelata autolesionista. Fare bene attraverso una gestione più conservativa è possibile, e lo dimostrano i vicini esempi di Kuban e Krasnodar.
Non vedremo grandi nomi in Daghestan, certo, ma, chissà, un giorno un giocatore nativo avrà modo di imporsi sotto la luce dei riflettori; lì sì che la vera essenza daghestana potrebbe mostrarsi all’Europa.
Si può discutere della modalità di questo tipo di politica, ma non della bontà di questo progetto. Ora per l’Anzhi comincia una nuova avventura: ripartire da zero. Difficlle, ma troppo intrigante per non essere seguita.