Ci sono persone che non importa quanto siano andate lontano. Non importa da quanto tempo non le si veda e da quanto non ci si parli. Quando tornano è sempre festa.
Alessandro Del Piero è una di queste. Finita l’avventura ventennale con la sua amata Juventus, è andato più lontano che avrebbe potuto, in Australia. E lì ha continuato a giocare, a segnare, a entusiasmare il pubblico negli stadi.
Punizioni, rovesciate, tiri a giro sotto l’incrocio e tanta — ma davvero tanta — signorilità e gentilezza, che fanno di lui un grande uomo prima che un grande campione.
Hanno imparato a conoscerlo e ad amarlo anche dall’altra parte del mondo, ma qui, nella sua Italia, non si sono affatto dimenticati di lui: il numero di persone ad aspettarlo all’aeroporto di Mestre lo dimostra. Una folla che si crea solo quando la propria squadra compra un grande campione. Ma in effetti Del Piero è un po’ il “grande campione” di tutti.
Al primo allenamento a Jesolo, poi, oltre mille le persone presenti sugli spalti. Gente seduta su quei gradoni di cemento al caldo non certo per ammirare il Sidney FC — con tutto il rispetto — ma per poter salutare ancora una volta uno degli ultimi veri numeri 10 del nostro calcio.
Cori, urla, striscioni, magliette della Juventus e della Nazionale con il suo numero e il suo nome stampati. Un’emozione forte anche per lui, abituato a giocare in palcoscenici da decine di migliaia di persone, che visibilmente commosso ha ringraziato la folla per il sostegno e la loro passione.
Ma la verità è che sono stati loro a ringraziare Del Piero, e il loro modo per farlo è stato essere lì, ancora una volta, al suo fianco.
Grazie per i vent’anni che ci hai regalato. Grazie per ogni singolo gol segnato. Grazie per ogni vittoria, per ogni trofeo e per quella notte a Berlino.
Grazie, infine, per averci spiegato cos’è il gioco del calcio.