La partita di… Antonio Paviglianiti

Prima da bambino appassionato, poi da tifoso “sentimentale”, infine da addetto ai lavori: assistere alla Reggina, squadra del cuore, rappresenta uno dei pochi comuni denominatori della mia fase di vita ancora troppo giovane ma già ricca calcisticamente parlando. Ci sono emozioni calcistiche inspiegabili. Molti, come avete già letto più volte in queste settimane sulle pagine di MondoPallone.it, legano il proprio ricordo alla Nazionale, a un’impresa dell’Italia: anch’io mi sento appagato da una vittoria azzurra, ma da Meridionale è un po’ patetica e ipocrita come “appartenenza”: tu sbeffeggiato 365 giorni l’anno dal potere nordico. Ovvio, non voglio annoiarvi con discorsi campanilistici o poco inerenti con ciò che tra poco andremo a toccare.

Sciogliamo il primo nodo: quando ti chiedono quale sia stata la partita della tua vita, ti reputi fortunato nel poter avere ampia scelta. Ricordi con piacere Torino-Reggina 1999, a casa e alle tue prime armi, tuo padre che al gol di Tonino Martino ti lancia in aria, un sogno che si avvicina e la voce rauca di Rocco Musolino. Pensi alla prima in casa, capita in concomitanza con la festa di Madonna, arriva la Fiorentina di Batigol, l’attaccante che ti ha fatto innamorare di questo splendido sport insieme al Divin Codino e O’ Fenomeno Ronaldo. Quello è un giorno speciale, lo capisci dalla papera finale di Toldo che consente il pareggio a Reggi. Anche questa concorre nelle partite “formative”, ma non è LA partita.

Ci sarebbe quella dell’anno dopo, lo spareggio con il Verona, una gioia fino al 84’ della gara di ritorno, un incubo qualche minuto dopo. I gol di Dionigi all’Arechi di Salerno e la promozione nuovamente acquisita, le prodezze di Bonazzoli contro l’Atalanta nel 2003, il gollonzo di Colucci contro la Juventus al Granillo (ricordate Paparesta chiuso negli spogliatoi da maggio?) o, perché no, qualche anno dopo l’incubo di Empoli: da 3-0 nel primo tempo, una retrocessione scritta nonostante una rincorsa che ti fa partire da -15, al 3-3 della ripresa, quando Nick Amoruso divenne mattatore. Beh, lo ammetto, quest’ultima partita mi ha messo in seria difficoltà.

Il calcio, però, è mosso non solo da un pallone e ventidue persone che lo inseguono: il calcio, specie nel nostro Paese, è qualcosa di più, c’è chi osa chiamarla “guerra”. C’è la rivalità, quella sana e vibrante rivalità: la Reggina ne ha diverse, la più sentita è quella con il Catanzaro per mere questioni politiche. Non va sottovalutata, però, quella con i messinesi. Già, il Messina: una storia strana quella che intreccia le due città, così simili sotto diversi aspetti, specie nel mondo attuale con amministrazioni comunali non all’altezza e città “dissestate”.

C’è una data nel cuore dei tifosi amaranto, per molti non vuol dire niente, non per 180.000 abitanti di una ridente città che rappresenta la punta del tacco del Belpaese. È il 30 aprile 2006, per il sottoscritto non una data come le altre: ci sarebbe Reggina-Messina, derby dello Stretto, ma alla tenera età di 12 anni il caso vuole ci sia anche la tua Cresima. Già, in una famiglia rigorosamente cattolica, un passo da fare per te che sei il primo di tre fratelli.

Nelle settimane precedenti, tu che quell’anno non sei abbonato, scopri l’opportunità di poter acquistare due tagliandi per il Derby tramite un’operazione commerciale in un noto supermercato della città. Dopo vari tentennamenti, convinci tuo padre ed è fatta: Reggina-Messina dal vivo, in barba alla Cresima. Già, questo Sacramento di cui al sottoscritto, quella domenica stessa importava poco o niente: sveglia presto, il pensiero è alla partita, con tua madre che fa di fretta e in furia perché è tardi per la cerimonia. Arriva il momento del rituale e, piuttosto che le parole da ripetere dinanzi al Vescovo, nella tua testa scorre una filastrocca: “Pelizzoli, Lanzaro, Lucarelli, Aronica […]”. Superato il primo ostacolo: Antonio Paviglianiti andrà allo stadio da cresimato. La speranza è che la cresima non ce la faccia il Messina allo scadere dei novanta minuti.

Un derby dal sapore particolare: sì, perché la posta in palio è altissima. La Reggina, vincendo , si salva. Il Messina, perdendo, retrocede. L’opportunità di mandare all’inferno i nemici di una vita.

Sono le 13.15, io sono in tribuna Est, già presente. Forse uno dei primi a entrare, o no: la Curva Sud è già piena, non capitava dai primi anni duemila. Striscioni a ripetizione contro i dirimpettai biancoscudati che si affacciano sul Granillo solo un quarto d’ora prima del fischio di inizio.
Della partita ricordo quasi tutto, anche un vecchietto sopra di me un po’ troppo malizioso: “Lillu avi l’affari cu’ Messina, no faci scindiri” (Lillo ha affari con il Messina, lo salverà. Ndr.). E tu, povero ingenuo, quando Cozza sbaglia clamorosamente a tu per tu con Storari, un attimino rischi di dargli ragione.

Nel secondo tempo, contro un Messina apatico, Mazzarri getta nella mischia Davide Biondini: il centrocampista, fino a quel punto della stagione per il sottoscritto uno dei giocatori meno utili sulla faccia della terra, serve in profondità Cozza: il capitano amaranto trafigge Storari e corre sotto la Sud. È il primo squillo di tromba: il secondo non tarda ad arrivare; rosso a Zoro, difensore peloritano, rigore per la Reggina e Nick Amoruso che realizza. Due a zero, sembra fatta ma non chiusa.

Il Messina è allo sbando ma ci vuole il colpo finale. Ci pensa Rolando Bianchi, attaccante alla prima stagione in amaranto, infortunatosi subito dopo la prima giornata con la maglia della Nazionale under 21. Mazzarri gli concede l’ultimo quarto d’ora, lui ci mette poco meno di cinque minuti per realizzare il tre a zero. È la mezzora, scatta l’ora X: dalla Curva Sud inizia a prendere forma una B gigantesca con sfondo rosso e tinte gialle. Trecento tifosi peloritani in silenzio, ventimila anime amaranto che fanno festa.

Così, questa è la mia partita e non ci sono Balotelli che tengono, Grosso che insaccano alle spalle di Lehmann e promozioni a stretto giro di posta che tengano.