Un paese spaccato in due. No, per questa volta non c’entrano nulla i vari Calderoli e compagnia, così come il ministro Cécile Kyenge: la Lega a cui faccio riferimento è quella di Serie A, ormai popolata quasi esclusivamente da squadre dell’Italia settentrionale o centrale. Ancora qualche settimana e poi, finalmente, si tornerà a parlare di calcio giocato: sino ad allora, però, spazio al mercato e ai gossip estivi, notizie da assaporare magari sotto l’ombrellone o in riva al mare.
Alla ricetta italiana, però, manca quel pizzico di piccante che da sempre caratterizza il nostro Belpaese: il mezzogiorno quest’anno sarà rappresentato soltanto da Napoli e Catania, due realtà fortemente in crescita che hanno fatto della serietà e della programmazione il loro diktat. Due presidenti virtuosi e soprattutto tifosi, poi, hanno fatto tutto il resto: i tempi delle serie inferiori sono passati, e nel capoluogo della Campania si sogna addirittura il tricolore: discorso diverso invece per il Catania, autore di una stagione da sogno nella passata stagione, ma pur sempre con obiettivi più umili.
Se per imitare il Napoli, quindi, serve una piazza di un certo tipo, dei tifosi appassionati e una storia invidiabile, per quanto riguarda invece gli etnei è tutto molto più “semplice”: rigorosamente tra virgolette, perché è necessaria soprattutto molta competenza in ambito amministrativo-gestionale, con un progetto serio che parte dalle fondamenta della società. Facile a dirsi, difficile a farsi. Spesso invece, quando nuove personalità rilevano una squadra di calcio, si pensa subito alla squadra in sé e ai giocatori, come se tutto il resto non facesse la differenza: il centro-sportivo attuato a Catania, per esempio, è tra i più moderni d’Italia (forse anche d’Europa), e questo permette agli atleti di allenarsi in un ambiente all’avanguardia, con attrezzature nuove fiammanti e uno staff preparato. Non è un caso che giocatori mediocri, in certe realtà ben strutturate, riescano a rendere meglio di quanto abbiano fatto da altre parti. Per non parlare del futuro stadio che nascerà ai piedi dell’Etna, pronto a diventare (insieme al progetto dell’Udinese di Pozzo) il secondo o il terzo impianto di proprietà nella nostra penisola.
Nel Sud Italia questa programmazione, questa attenzione ai dettagli e al contorno è purtroppo venuta a mancare: le strutture sono quasi a pezzi, con ristrutturazioni che nella migliore delle ipotesi risalgono a Italia ’90, se non addirittura antecedente ai mondiali. Alcuni presidenti, inoltre, gestiscono la propria squadra quasi fosse un gioco, in cui esonerare decine di allenatori e rivoluzionare una squadra a gennaio è possibile; il riferimento è chiaramente al Palermo di Zamparini che, con una rosa decisamente migliore di molte altre realtà, è riuscito a portare nella serie cadetta una compagine che, sino a tre anni fa, nutriva sogni da Champions League. Non decadi fa, solo tre anni fa.
Per non parlare di Bari, Reggina, Lecce, Foggia, Messina, Salernitana, Avellino… potrei continuare a lungo, ma la lista di rappresentative con un curriculum affermato anche nella massima serie è davvero importante. Serve una spinta, sia dal fondo che dai piani alti, per cercare di costruire una specie di “Piano Marshall” moderno per riuscire a valorizzare nuovamente realtà e territori che meriterebbero molto di più rispetto a ciò che hanno adesso.
Una Serie A eterogenea dal punto di vista territoriale farebbe bene sia al movimento che all’Italia stessa: il calcio non può essere definito come uno sport qualunque, specie in certe piazze calorose che fanno del pallone quasi una ragione di vita. Questa carenza da mezzogiorno va colmata, per far si che un giorno, la Serie A, possa tornare a essere lo specchio di un meridione in piena ricrescita. Il nome del progetto lo suggeriamo noi, rifacendoci a una nota pellicola moderna: Benvenuti al Sud!