La Sghimberla del lunedì – la filmografia del pallone (seconda puntata)

Se nella prima parte della Sghimberla cinematografica abbiamo recensito alcuni film considerati “minori”, quest’oggi parleremo di metraggi molto più importanti, sempre comunque tenendo a mente che – per motivi oscuri – i film sul calcio sono quasi tutti considerabili B-Movie, anzi diciamo pure C1-Movie zona retrocessione.

L’unico che forse si salva dal baratro, avendo un cast anche leggermente superiore alla media, è il celeberrimo Fuga Per la Vittoria (Gran Bretagna, 1981). La trama è piuttosto nota: durante la Seconda Guerra Mondiale, quei grandissimi sboroni (e sono stato assai generoso) dei tedeschi organizzano una partita tra un gruppo di prigionieri ex calciatori e una squadra composta dagli ufficiali della Luftwaffe. Pare che inizialmente gli sceneggiatori avessero ricalcato alla perfezione la vera storia della partita fra giocatori della Dinamo e una selezione di Germania e Ungheria, giocata in condizioni simili allo stadio Zenith di Kiev.

Gli ucraini, chissà se eroi o idioti, avevano già umiliato i tedeschi poche settimane prima, con un 5-1 secco. Notoriamente buoni di cuore, i nazisti avevano organizzato una seconda partita, dicendo: “Vabbè, vi avevamo minacciato di morte se non perdevate e avete voluto stravincere lo stesso. Forse non capite bene il tedesco, quindi ve lo traduciamo in ucraino: sie nuon pierdetev vi spiezziamo in due, da?”. Nonostante questo avviso piuttosto chiaro, gli ucraini vinsero ancora, questa volta per 5-3, compreso uno slalom gigante di Klimenko che dribblò tutta la Germania, con tanto di portiere, e poi a sfregio si fermò sulla linea col pallone e lo ributtò a centrocampo. Un po’ come fa spesso Borriello, ma l’ucraino lo fece di proposito.

Il risultato fu che gli ucraini vennero quasi tutti fucilati: anche Klimenko, che a dribblare i proiettili non era altrettanto preparato. Ora, io dico: questa storia sarebbe stato epico raccontarla così. Invece la produzione cosa fa? Cambia completamente il film e ci aggiunge un lieto fine scandaloso e una serie allucinante di orpelli senza alcun senso. Il risultato è quasi comico: i giocatori della Dinamo vengono trasformati in prigionieri di guerra stanchi e denutriti, i quali vogliono vincere a tutti i costi, ma nonostante questo fanno spezzare di proposito il braccio al portierone irlandese e si dotano invece di un estremo difensore (Sylvester Stallone) che è abile più o meno come il peggior Dida dopo un elettroshock.

Cosa divertente e tutt’altro che trascurabile è il ruolo di Sylvester Stallone, attore che chiaramente non c’entra nulla sia col resto del cast, sia soprattutto col gioco del calcio. Durante le riprese “Sly” ha eroicamente “rifiutato le controfigure”. Esatto: da buon appassionato di football americano, l’agente di Stallone pretendeva uno stuntman per fare il portiere, cosa che fa intendere facilmente come gli americani si atteggino a maschiacci ma siano sotto sotto delle femminucce. E infatti Stallone, privo di controfigura, s’è rotto due costole e un dito (giuro, è vera!) durante le riprese. Ma come fai a romperti due costole e un dito interpretando un portiere di calcio? Vabè, tornando alla trama…

Alla fine del primo tempo, sul risultato di 4-1 per i tedeschi, i partigiani francesi sfondano finalmente lo spogliatoio per far scappare tutti (cosa che oltretutto segnerebbe uno smacco storico per i tedeschi, buggerati), e invece i giocatori decidono tutti uniti di tornare in campo per prendere altre mazzate e poi fare trionfale ritorno alle proprie comodissime prigioni (la partita finirà 4-4 nonostante l’arbitro venduto). E il bello è che il film si intitola “Fuga per la vittoria”, che in realtà non vuol dire proprio niente, perché il titolo corretto sarebbe stato “Nessuna fuga, e tutto per un pareggio”.

Gli eroici ucraini, fossero vivi, si sarebbero suicidati tutti insieme. Voto: 8, perché in ogni caso ci sono Michael Caine, Pelé, Bobby Moore, Osvaldo Ardiles

 

Sfida per la vittoria (Usa/Gran Bretagna, 2000). Titolo simile, ma ancora una volta inspiegabile, per il film che ha coinvolto un grande eroe del calcio europeo: il mitico attaccante Ally McCoist. Fenomenale col pallone, sembra invece un busto di cartapesta morta davanti alla macchina da presa, tanto che l’unica spiegazione per il titolo è che la sfida consista nel farlo recitare.

Il film narra delle avventure del Kilnockie, una squadretta di seconda divisione scozzese, che per una serie di irripetibili colpi di culo centra la finale di coppa, dove giocherà contro i Glasgow Rangers. L’asso nella manica della squadra sfidante è proprio McCoist, che nel film interpreta un ex attaccante del Celtic molto indisciplinato (una specie di Balotelli, ma forte tecnicamente).

Ora, già salta all’occhio la colossale topica degli sceneggiatori. Non ci sono due squadre al mondo che si odiano più di Celtic e Rangers, e tu prendi una storica bandiera dei Rangers e lo metti a giocare, nella finzione, con la maglia dei rivali? Immaginate cosa succederebbe se uscisse un film sul calcio, con Francesco Totti nella parte del grande ex attaccante della Lazio!

Vabè, sorvolando… sto per spoilerare, quindi chi non ha visto il film passi subito alla prossima recensione. Il Kilnockie riesce a portare la gara fino ai calci di rigore, ed è proprio McCoist che calcia l’ultimo penalty. Ora: dato che il risultato è di 5-4 per gli avversari, qualunque spettatore anche solo vagamente capace di formulare un’ipotesi capirà subito che l’eroe sbaglierà il rigore. Viceversa, sul 5-5, si andrebbe a oltranza e il protagonista diventerebbe un’oscura riserva (cosa che per il cinema è inammissibile).

E infatti McCoist canna clamorosamente il penalty, costringendoci ancora una volta a redarguire chi ha titolato il film: la sfida c’è, la vittoria no. Sarebbe stato un po’ più furbo lasciare il titolo inglese: “A shot at glory”, che avrebbe in teoria un senso. No, devono cambiare per forza. Ma a ‘sto punto, se il gioco è prendere parole calcistiche e metterle a caso, perché non chiamarlo “Il tackle che sparò in fuorigioco” o “Il bidello dal dribbling d’oro”? Voto: 5, di stima, perché il portiere balbuziente è un tratto geniale.

 

L’allenatore nel pallone (Italia, 1984). Quello che è un film parodistico e con scopi puramente comici (fra l’altro egregiamente raggiunti), si rivela in realtà la più acuta e accurata pellicola nell’intera storia della cinematografia a sfondo calcistico. Potrà sembrare questa una battuta, ma in realtà si sta parlando seriamente: il film con Lino Banfi è non solo un grande cult amato da tutti (perfino da quei rompipalle dei critici cinematografici, molti dei quali l’hanno definito un capolavoro), ma soprattutto è una perfetta ricostruzione del mondo del pallone. Inutile raccontarne la conosciutissima trama: passiamo invece ai protagonisti, facendovi notare anche il confronto con l’emulo che rappresentano nella realtà.

Oronzo Canà (Lino Banfi) è un allenatore di origine pugliese, molto focoso e con idee strampalate ma non per questo perdenti. Non è neppure velata l’allusione al grande tecnico Oronzo Pugliese, che per tre anni allenò la Roma e che scoprì, fra gli altri, anche Fabio Capello. Aldilà della stima che io gli tributo per aver portato il Messina in serie B negli anni ’50, il mitico Oronzo (proprio come Canà) era scaramantico fino al midollo, tanto che si portava il sale in panchina per spargerlo generosamente tutt’attorno. Questi sono i veri grandi del calcio!

Ancora più accurata è la figura di Andrea Bergonzoni (Andrea Roncato), osservatore pasticcione che ricalca perfettamente la storia di Giuseppe Malavasi, allenatore in seconda della Pistoiese negli anni ’80. Dato che la piccola squadra toscana festeggiava l’esordio in A, Malavasi fu spedito in Brasile a cercare una punta sopraffina. Per buggerarlo, venne organizzata una finta partita in cui segnò a ripetizione un certo Luis Silvio Danuello, spacciato per grande punta brasileira e comprato sull’unghia per 170 milioni (e 7 anni di contratto). Dopo sei partite in cui Danuello dimostrò che la sua abilità primaria era quella di inciampare sui lacci delle proprie scarpe, gli chiesero cosa gli stesse accadendo e lui rispose: “Boh, ma io non ho mai giocato come attaccante”. La versione ufficiale fu che alla domanda “Sei una punta?” lui avesse risposto “” perché in portoghese “ponta” significa ala. La versione meno ufficiale fu che Danuello in realtà facesse il panettiere (c’è chi diceva anche il pornodivo).

Ma il top lo raggiungiamo col carioca Aristoteles, che è identico anche fisicamente a un giovane attaccante brasiliano di nome Tuta, che militò nel Venezia degli anni ’90. Al centro di un’ardita truffa per cui Bari e Venezia si dovevano appattare per un pari, il giovane Tuta entrò e segnò un gol che ruppe i piani programmati. Gustosissima la reazione dei compagni di squadra, che anziché esultare – si vede benissimo – vorrebbero tirargli una randellata nei testicoli.

Tutto perfetto. Tutto realistico: altro che film comico! Il voto? 10, per forza!

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Gaetano Allegra