Borsellino chiama, Miccoli risponde?
Riassunto delle giornate precedenti.
Miccoli ha poi firmato con il Lecce (torna a casa, sperando che non abbia amici anche nella Sacra Corona); tira una brutta aria nel mondo della velocità (parziale consolazione per noi, che almeno ci facciamo beccare per un marciatore, ben altra fatica); persino Bernie Ecclestone viene incriminato in Germania (non stento a crederci: quello di Hockenheim è stato un delitto); Ligresti senior finisce in carcere (ma il figlio Paolo, nel CDA del Milan e fresco di cittadinanza svizzera, potrebbe scampare all’arresto); Vincenzo Cerami, scrittore appassionato di rugby, è morto; e anche io non mi sento molto bene.
Sul doping ha già scritto su queste colonne Elia Modugno, e stiamo tranquilli che non sarà l’ultima volta che dovremo parlarne; quindi cerchiamo di prendere spunto da altro: la scelta non manca, in quest’estate della crisi che c’è e non c’è (chiedetelo alla Roma che riporta in Italia Maicon e ricava 35 milioni da un promettente difensore).
Forse, però, la crisi vera non è quella economica, ma qualcosa di culturale. Nel senso lato del termine: e la cultura italiana non sempre è la migliore immaginabile. Pensiamo a Miccoli: a Palermo era riuscito a trovare una dimensione ideale, nella quale sprigionare traiettorie in grado di far sognare i tifosi; finché non si è saputo quello che sappiamo. Con contorno di crucifige e scuse e capo cosparso di cenere e le immancabili lacrime (e un addio decisamente con ignominia). Come se la sostanza possa cambiare in forza di un ravvedimento operoso. Un po’ come dare una mano di bianco a pareti insanguinate o, con una figura meno poetica e che spero mi perdonerete: come spruzzarsi il deodorante senza prima essersi lavati.
Sono i giorni del calciomercato, sì. E già pare di vedere qualche passo in avanti nella sparizione di trattative improbabili col Sudamerica (non facciamo nomi; ma le scorse estati abbiamo visto più d’un carneade venire pagato a peso d’oro, salvo rivelarsi presentabile quanto lo era Saadi Gheddafi: due spezzoni di presenze in quattro stagioni italiane). Questo pare già un passo in avanti, almeno per ora. Poi a Palermo hanno pensato di rifarsi una verginità dando la panchina a Rino Gattuso, già campione del mondo giocando in una squadra molto discussa.
Il problema non è se Zúñiga va alla Juventus, o se sarà Higuaín o Leandro Damião il sostituto di Cavani; importa come si comporta De Laurentiis. Lo ricordo dichiarare a RadioRai, con malcelata soddisfazione, di aver mandato a c… qualche squadra inglese che voleva Cavani. Negare non bastava? E questo è solo l’aspetto superficiale del malcostume: la forma che diventa sostanza poi nasconde contenuti illeciti, o irricevibili. Un fatto culturale. Perché, per far sì che i nuovi Miccoli non si confondano con certa gente, occorre anzitutto avere un paese più educato, nel quale non si sia abituati a mentire, e si facciano le cose secondo dovere.
Non sono così snob da non pensare che lo sport non possa dare una lezione alla vita di tutti i giorni; ma a volte bisogna anche guardare le cose alla rovescia, e riportare la vita quotidiana (con i suoi esempi migliori) direttamente dentro lo sport. Sono passati 21 anni dalla morte (martirio?) di Paolo Borsellino: gli sono state dedicate strade un po’ ovunque, un campo sportivo a Volla (Napoli), un velodromo a Palermo, e in futuro anche un centro polisportivo a Bitonto. Ma, forse perché il prato verde d’estate è pressoché fermo, nessuno mai gli ha dedicato non dico un trofeo: sarebbe bastato un esempio.
Un calciatore che fosse un modello ma non un modello come Simone Farina, di cui si è già parlato troppo: un nome “normale” capace di stupire soltanto grazie al suo equilibrio. Oppure, passando ad altri lati della barricata: un procuratore federale che non cerchi di stupire, bensì si affidi solo alla forza dei fatti. Ancora non abbiamo imparato la lezione (e quando lo faremo sarà comunque stato tardi per molti). E il mondo dello sport, specchio del paese, è ancora quello che è, con lo sguardo corto.