La partita di… Alessandra Stefanelli

“È un sogno, non un’ossessione”. José Mourinho

Ci sono giorni che è impossibile descrivere, a meno che tu non sia un tifoso. Ci sono trofei che tutti sperano di alzare almeno una volta nella vita, a maggior ragione chi li ha vissuti soprattutto attraverso foto sbiadite e ricordi in bianco e nero. La Champions League è inevitabilmente la coppa più ambita, soprattutto se ti viene rinfacciato di non vederla nemmeno in fotografia da 45 anni, soprattutto se ti chiami Inter. L’Inter del 2010 – sembrano passati mille anni, ne sono trascorsi poco più di tre – ce l’ha fatta, ha sollevato l’ambita “coppa dalle grandi orecchie” pur senza partire con i canonici favori del pronostico, battendo per 2-0 quello stesso Bayern Monaco capace di conquistare tre finali in quattro anni.

Tutto si può dire, tranne che quell’anno l’Inter fosse effettivamente la squadra più forte d’Europa. Aveva ottime individualità – Sneijder, Eto’o, l’eroe Milito su tutti – ma era ben lontana dall’essere quella corazzata da cui tutti potessero aspettarsi il trionfo di Madrid. E lì entra in scena José Mourinho, a cui però è errato conferire tutti i meriti: lo Special One ha fallito l’obiettivo con Chelsea e Real Madrid, formazioni decisamente più attrezzate dell’Inter del 2010. Onore, dunque, al tecnico portoghese, ma guai ad attribuirgli integralmente la paternità del trionfo: Mou ha trovato una squadra di uomini veri, disposti a correre il quadruplo e a dare tutto ciò che avevano in campo, ha trovato un Eto’o disposto a giocare da terzino, una squadra capace di soffrire nei momenti più difficili e di inseguire “il sogno, non l’ossessione”.

Adesso proverò a descrivere il modo in cui l’ho vissuta. E vi assicuro che non è per niente facile. Ricordo l’ansia crescente man mano che il sogno iniziava ad essere a portata di mano. Perché alla fine un po’ tutti noi interisti eravamo convinti che l’avventura si sarebbe conclusa nella doppia semifinale con il Barcellona: troppo più attrezzata la formazione di Pep Guardiola, troppo più esperta e dotata tecnicamente da potersi anche solo lasciar impensierire dalla banda nerazzurra. E invece così non è stato: dopo il brillante 3-1 dell’andata, i nerazzurri hanno resistito stoicamente al Camp Nou, nonostante l’espulsione quanto meno dubbia di Thiago Motta, e sono riusciti a portare a casa la finalissima del Santiago Bernabeu.

L’Inter arriva dunque alla finale contro il Bayern Monaco del 22 maggio priva dello squalificato Thiago Motta, elemento cardine del centrocampo nerazzurro in quella stagione. Louis Van Gaal, invece, presentò la formazione tipo. Questi gli schieramenti in campo:

BAYERN MONACO (4-4-1-1): Butt; Lahm, Van Buyten, Demichelis, Badstuber; Robben, Van Bommel, Schweinsteiger, Altintop (dal 18’ s.t. Klose); Mueller; Olic (dal 38’ s.t. Gomez).

INTER (4-2-3-1): Julio Cesar; Maicon, Lucio, Samuel, Chivu (dal 23’ s.t.Stankovic); Zanetti, Cambiasso; Eto’o, Sneijder, Pandev (dal 33’ s.t. Muntari); Milito.

Man mano che passano i minuti, la fiducia cresce. I tedeschi partono bene, ma la prima azione è nerazzurra. Siamo al 17′, Sneijder costringe Butt al grande intervento. Al 25′ è ancora Sneijder a ispirare la rete del vantaggio interista: gran filtrante dell’olandese per il sempre ottimamente posizionato Milito, che di precisione batte l’estremo difensore tedesco e fa riacquistare finalmente il respiro ai tanti nerazzurri in apnea da almeno una settimana. Inter in vantaggio all’intervallo, dunque. Ma l’interista medio sa che non ci si può mai rilassare con una squadra come l’Inter, sia che tu sia sotto di tre gol, sia che tu conduca di tre o che sia – come in questo caso – banalmente in vantaggio per 1-0.

E Mourinho lo sa, per questo non smette un attimo di scuotere i suoi, di convincerli a non mollare un centimetro. In avvio di ripresa le emozioni, ovviamente, non mancano: prima Julio Cesar nega l’eurogol a Muller, poi ancora Butt si supera su Pandev. Al 19′ è ancora il portiere brasiliano dell’Inter a negare la gioia del gol a Robben. La squadra soffre, i tifosi nemmeno a dirlo. Ma la dote di questa Inter, quella che forse è mancata a molte delle Inter precedenti e anche a quella attuale, è la tranquillità. E con tranquillità, al 25′ della ripresa, ancora Diego Milito insacca la rete del 2-0. La reazione bavarese non arriva, José Mourinho regala qualche secondo anche a Marco Materazzi. E alla fine arriva il fischio finale, a decretare il trionfo nerazzurro nella massima competizione europea dopo 45 anni dall’ultima volta e a incoronare l’Inter prima formazione italiana ad accaparrarsi il Triplete: scudetto, coppa nazionale e Champions League. Un’impresa che non può non rimanere nella leggenda, un trionfo di proporzioni che difficilmente rivedremo in Italia.