Fa caldo, veramente tanto caldo nell’estate del 1995; mesi di luglio e agosto di assoluto relax per un ragazzino che vuole solo riposarsi dopo un anno passato appresso al temuto dizionario Rocci e alle incomprensibili versioni di latino e greco. Nel primo pomeriggio non si può uscire, il sole è troppo forte, e così il ragazzino attende in casa l’arrivo delle ore più fresche; aspetta sdraiato sul letto ad osservare le vicende di alcuni uomini che in sella a una bicicletta, ogni giorno, affrontano km su km sognando una vittoria di tappa e il bacio delle miss al traguardo.
Il 18 luglio del 1995 è un giorno particolare, diverso da tutti gli altri pomeriggi. Mentre l’Eurovisione mostra le immagini di un Richard Virenque in maglia a pois, lanciato verso Cauterets, dal televisore arriva la voce del “telecronista”, un suono strano, un pianto trattenuto dinanzi a un comunicato e a quel cognome, che il ragazzino conosce molto bene. Già perchè lo stesso “telecronista” lo aveva urlato, urla di gioia stavolta, tre anni prima nell’estate del 1992, quella delle bombe di mafia per molti, delle Olimpiadi di Barcellona, invece, per chi, superata da poco la soglia dei dieci anni, non masticava di politica e cronaca nera ma seguiva lo sport, tutto lo sport, con profonda passione.
Il 2 agosto del 1992 quel cognome echeggiò sul gradino più alto del podio olimpico, in terra spagnola, lasciando come ricordo una delle più belle immagini delle olimpiadi moderne. Tre atleti, tre ciclisti di differenti origini (un italiano, un olandese e un lettone), colti nell’esultare insieme al traguardo. L’esser arrivati secondi o terzi non rappresentava una sconfitta, ma significava aver raggiunto comunque una medaglia, un premio meritato per chi ancora non conosceva il mondo del professionismo. Un’immagine difficile da pensare ai giorni nostri, dove la vittoria viene prima di tutto e il perdere diventa un’onta, un incubo da evitare a tutti i costi.
Ma torniamo al 1995. La lettura del comunicato è diretta e non tralascia nessun tipo di dubbio: “Fabio Casartelli è morto”. Tre anni dopo quel “telecronista” si ritrova a raccontare un sentimento diverso dalla gioia: il dolore. Mantenere una certa professionalità giornalistica dinanzi a un dramma che ti colpisce così da vicino è veramente difficile e le sue parole ne sono la testimonianza. La tappa prosegue e i ciclisti si ritrovano a essere informati in maniera cinica all’arrivo di ciò che era accaduto. Una giornata incomprensibile, come difficiale è per quel ragazzino capire come si possa perdere la vita su una bicicletta, un mezzo così innocente che improvvisamente diventa spietato se combinato con la presenza di un paracarro ai bordi di una strada di montagna.
Oggi ne sono passati tanti di anni da quel drammatico giorno. Dalle parti del Colle di Portet-d’Aspet è rimasta una targa che ci ricorda il campione olimpico del 92, colui che in due partecipazioni alla Grande Boucle non è riuscito mai a vedere i Campi Elisi parigini. Anche il telecronista c’ha lasciato; una leucemia c’ha portato via Adriano De Zan e quel suo “Gentili signore e signori, buongiorno” che lo ha contraddistinto nel corso della sua carriera. Il ragazzino, purtroppo, non è più tale, ma quando è libero da impegni coglie l’occasione per sdraiarsi sul letto e seguire il ciclismo come ai vecchi tempi.
Casartelli ha raggiunto nomi celebri come Fausto Coppi, Alfredo Binda, Louison Bobet, Jacques Anquetil. Successivamente lo hanno seguito tanti altri tra cui il Pirata e il Ginettaccio. Ma dove saranno finiti tutti? Difficile pensare che quando uno è cresciuto e ha vissuto sui pedali poi debba smettere di farlo per l’eternità. Non è giusto e non può essere così. Allora capita di alzare gli occhi al cielo e osservare le nuvole e le loro strane forme e magari fantasticare, pensando che lì, lontano dai nostri occhi, possa celarsi qualche salita costruita tra le nubi e ricca di tornanti dove si sfidano i grandi campioni delle due ruote. Coppi e Bartali di nuovo contro come “cane e gatto”, poi Anquetil riconoscibile dalla sua posizione elegante, il pirata e la sua bandana che scattano appena la strada si fa dura e più arretrati i velocisti con il loro immancabile stile da cicloturistica. C’è ovviamente il nostro Fabio, ormai esperto di questi stracciati celesti; ad attenderlo nuvola speciale, a forma di Arc de Triomphe dove si concluderà la sua fatica.
Un doveroso ringraziamento a Michael Paci per la foto di copertina