La partita di… Stefano Pellone

Quanto può essere dolce il sapore di una vittoria? Quanto qualcosa può rimanere impresso nella mente come marchiato a fuoco? Dipende. Dipende da un sacco di fattori, non ultimi quelli geografici e culturali. Ci sono posti, nel mondo, in cui una vittoria vale più di altre, soprattutto se parliamo di sport. Tanti piccoli Sud, nel mondo, che per una sera sono loro a gioire, in barba alla miseria e alla fame, alla povertà e ai pregiudizi. Tanti posti dove alzare al cielo una coppa ed urlare la propria rabbia che si mescola con la gioia dà un sapore del tutto speciale alle “solite” lacrime. Napoli è uno di quei posti.

Azioniamo una ipotetica macchina del tempo: Stoccarda, Neckarstadion, ore 20:45 del 17 Maggio 1989. Ma avrei potuto tranquillamente direi Napoli, quartiere Fuorigrotta, Piazzale Tecchio, stadio San Paolo: lo stadio dei tedeschi è incredibile, una macchia di azzurro pazzesca che divide lo stadio quasi a metà, circa 30.000 tifosi napoletani arrivati fin lì a sostenere i loro beniamini.

Cosa c’è di così speciale quella sera sotto il cielo di Stoccarda? C’è la finale di ritorno della Coppa Uefa 1988/89. Già, perchè a quei tempi la Coppa Uefa (oggi Europa League) aveva le finali di andata e di ritorno e valevano sempre tantissimo i gol in trasferta. E l’andata se l’era aggiudicata il Napoli in rimonta 2-1 con Maradona su rigore e l’immenso Careca che risposero a Gaudino, proprio lui, figlio di emigranti partenopei che segna contro la squadra per cui forse tifavano i genitori.

Lo stadio è pieno, le pedine si dispongono in campo per l’ultima lotta: da un lato il Napoli di Ottavio Bianchi con Giuliani, Ferrara, Francini, Corradini, Alemao (uscirà al 30′ per Carannante), Renica, Fusi, De Napoli e poi il trio di attaccanti Careca (uscirà al 70′ per Bigliardi) Maradona e Carnevale, dall’altro lo Stoccarda guidato dal “Bombardiere” olandese Haan con Immel, Schäfer, Schröder, Katanec, Hartmann, Schmaler, Allgöwer, Walter, Sigurvinsson, il già citato Gaudino e poi lui, la pantegana bionda, Jurgen Klinsmann, la stella della squadra. L’arbitro è lo spagnolo Sanchez Arminio. Si dà un’ultima occhiata che tutto a sia posto e poi via, si parte.

Il vostro eroe (che sarei io) in quel momento era nel salotto di casa assiepato dagli amici di mio padre e dai loro figli (della mia età) sotto lo sguardo di rimprovero delle madri che non vedevano di buon occhio né il numero di bottiglie di vino e di birra che aumentava nè le urla che volarono quando Brunone Pizzul scandiva l’affondo travolgente di Alemao nella difesa tedesca per il gol dell’1-0 napoletano. Vi siete figurati la scena? Bene. Immaginatevela 10 minuti dopo al pareggio di Klinsmann quando oltre alle urla cominciarono a volare le bestemmie.

Ma come ho detto all’inizio dell’articolo, ci sono notti che sembrano fatte per un destino solo. Ed è l’unica spiegazione che riesco a trovare al gol di Ferrara al 39′: corner di Maradona, ribatte Schafer, Maradona non si sa bene per quale motivo dalla fascia la ributta dentro con un colpo di testa a pallonetto fortissimo e sulla parabola la difesa tedesca si perde Ferrara che, con guizzo da attaccante puro, segna al volo di collopiede ad incrociare. Credo che in quel momento ben pochi di noi abbiano visto la faccia di Ferrara e le sue lacrime, visto il caos in quel salotto. Rivederla ora, dopo anni, fa un certo effetto.

Questa storia però il suo culmine lo raggiunge al 62′: lo Stoccarda attacca a testa bassa ed ha appena reclamato un rigore non dato. Lancio di Sigurvinsson al centro dell’area napoletana, rinvio alla “viva il parroco” di Ferrara con la difesa dello Stoccarda inesistente, colpo di testa di Careca a metà campo che innesca Maradona nelle praterie del nulla tedesco. Hartmann è più veloce di Diego, lo insegue e lo raggiunge: andare da soli in porta non si può più. E allora Maradona temporeggia, anche perchè forse ha visto con il suo quarto occhio Careca che correva come un indemoniato per farsi passare il pallone. Maradona allora gioca un pochino con l’avversario e poi serve con un passaggio docile e preciso Careca: il brasiliano controlla il pallone in corsa e con un bellissimo pallonetto in uscita segna la rete del 3-1. Stadio letteralmente esploso e divano di casa mia letteralmente distrutto.

Dopo verranno la sfortunata autorete di De Napoli ed il gol di Schmaler a fissare il risultato sul 3-3 finale, ma poco importa. La mia mente non ha registrato quelle cose. La mia mente torna sul campo, al 62′, quando Careca in ginocchio viene abbracciato da De Napoli che arriva quasi in scivolata e da Maradona che con passo felpato si china e lo cinge. Dopo ci sarà anche un quarto giocatore in quell’abbraccio, Luca Fusi, eccellente gregario di centrocampo. Ma in quell’abbraccio io sento come il cuore che si ferma, come una parte di me che esulta di nuovo come il bimbo di allora, perso tra urla, bottiglie che volavano, caroselli improvvisati e sguardi di mamme infuriate. Io mi risento e mi ritrovo ancora là. Il corpo può essere invecchiato, ma lo spirito, il cuore…. quello no.

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Stefano Pellone