Lo sport e l’ombra del sospetto
Il doping è tornato prepotentemente alla ribalta in questo fine settimana, colpendo l’atletica, la regina madre degli sport già ferita quest’estate dalla vicenda Schwazer. Un ciclone che si è abbattuto in particolar modo sulla Giamaica, una terra che ha regalato al mondo fior fiori di velocisti. Cinque atleti sospettati di uso di sostanze poco lecite e tra questi il nome di Asafa Powell; gli Stati Uniti, invece, sono rimasti sconvolti dalla notizia della positività di Tyson Gay proprio a poche settimane di distanza dall’evento iridato di Mosca.
Mentre l’atletica finiva sotto l’occhio del ciclone, il ciclismo, una disciplina che ha pagato a caro prezzo in passato per vicende simili, si interrogava sull’incredibile successo di Froome. La prestazione sul Mont Ventoux del dominatore del Tour de France non ha convinto pienamente gli appassionati; una salita di venti km affrontata con il piglio di chi appariva con una marcia in più rispetto agli avversari che invece arrancavano. Un gesto da extraterrestre a cui in molti, delusi in passato da Armstrong, non credono, sospettando che dietro quello sforza possa nascondersi l’uso di qualche farmaco. Una situazione che ha del surreale perché il ciclista della Sky ha ottenuto la sua vittoria più importante in carriera, ma questi sospetti hanno finito per macchiare la sua giornata di festa e forse finiranno per fare lo stesso quando sarà lui a salire sul gradino più alto del podio di Parigi, come ampiamente prevedibile.
Lo spirito decoubertiano “L’importante non è vincere, ma partecipare” è stato ormai accantonato da anni per fare posto ai soldi, agli sponsor e agli interessi e in quest’ottica alcuni atleti finiscono per cedere alle lusinghe del doping per mantenere determinati livelli. Il mondo dello sport ha fatto tanto, intensificando i controlli, aumentando anche lo sforzo a livello educativo, ma nello stesso momento anche la chimica ha cercato di migliorarsi, proponendo sempre soluzioni diverse. La vittima principale di tutto questo, però, è proprio lo sport; se una volta si faceva uso del termine “sovrumano” per definire chi raggiungeva determinati limiti sportivi, ora puntualmente si passa direttamente ai sospetti e a quel punto di domanda che dubita sulla veridicità di un’impresa.
Ci si chiede allora se forse non sia opportuno aumentare la severità delle pene, proponendo la radiazione immediata per chi sbaglia. Una decisione drastica, ma utile per qualcuno per sconfortare i potenziali “bari”. Una soluzione opportuna per tecnici e allenatori coinvolti, mentre da differenziare a livello di atleti. Il doping è costituito de varie casistiche e fare tutto un calderone non è la risposta ideale. Radiare chi raggiunge titoli e vittorie o chi fa uso di sostanze estremamente pericolose, mentre proporre una seconda e ultima chance in tutti gli altri casi, cercando anche una collaborazione per stanare i principali responsabili di tali attività illecite. Tra tre anni ci sarà l’appuntamento olimpico in Brasile e in questo lasso di tempo saranno tante le battaglie da compiere per chi sogna un sport “pulito”.