La maggior parte degli appassionati di calcio concorderanno che ci sono due fattori che possono rendere indimenticabile una partita per un tifoso: l’andamento e il risultato finale di essa, aspetto di solito corelato all’importanza della stessa, oppure le circostanze nelle quali ci si è trovati a vedere la partita in sé. In alcuni, rari, casi, questi fattori vengono a incontrarsi: vedere una partita dal risultato e dall’andamento memorabile in circostanze eccezionali, creando così la partita perfetta. La storia che vi sto per raccontare è una di queste. Mi perdonerete, quindi, se nel mio racconto avrete modo di confrontarvi non solo con la storia di una partita, ma anche delle circostanze che la hanno resa la partita più indimenticabile della mia vita.
Venire sconfitti così non è mai facile, ma ancora più difficile da digerire una sconfitta così è quando ormai hai pianificato tutto per vederti la partita di ritorno dal vivo, soprattutto con il pensiero che l’unica squadra ad aver mai ribaltato una sconfitta casalinga negli scontri diretti di Champions League era allenata dal mister che andrai ad affrontare. Insomma, il passaggio del turno, dopo quella fredda serata di febbraio, sembrava un utopia.
I giorni passano e, forse per merito del mio inguaribile ottimismo giovanile, mi trovo sempre più spesso a dire “io ci credo”. Il fuoco della speranza cresce mano mano, ed è così che la mattina del 15 marzo mi sveglio nella mia casa a 60km da Monaco teso come una molla e in attesa dell’arrivo di tre grandi amici di Milano (o meglio, due milanesi e un barese “adottato”, ma sempre interista). Le ore passano piano quel giorno, la voglia di calcio è tanta, la voglia di vedere un’impresa ancora di più.
Dopo una lunga giornata di attesa, i miei amici arrivano… in ritardo. Galeotta fu una sosta in Lichtenstein. Li costringo a cambiarsi in strada, non c’è tempo da perdere: il taxi che ci deve portare in stazione per andare a Monaco è in arrivo a momenti. Tra i vari preparativi gli faccio mettere delle camicie in un borsone per il post-partita in discoteca che avevo pianificato. Arriva il taxi, e via di volata verso la stazione. Mentre loro si avviano verso il binario, io corro a comprare il biglietto e, finalmente, li raggiungo.
E qui il primo dettaglio indimenticabile della serata: il mio amico a cui avevo affidato il borsone, non accortosi delle birre che avevo preparato da gustarci in treno, lo appoggia con poca gentilezza a terra. Crack. Crack. Crack. Birra ovunque, camicie rovinate e sciarpe e bandiere da portare allo stadio in condizioni impresentabili. “Se il buon giorno si vede dal mattino…”.
Arrivati finalmente allo stadio, carichi come solo un gruppo di quattro giovani tifosi sa essere, veniamo fermati da un giornal
Tra un coro e l’altro, ha inizio la partita. Neanche il tempo di ambientarci per bene e il Re Leone, Samuel Eto’o ci regala la prima gioia di una serata da annali del calcio. Il camerunense, servito da Pandev dopo soli tre minuti di gioco, entra in area e trafigge il portiere avversario Kraft con un fendente tra le gambe: 0-1! Discorso qualificazione e passaggio del turno subito riaperto… e che gioia per noi tifosi! Il gol del vantaggio però, sembra non aver galvanizzato i giocatori in campo quanto i tifosi.
Il Bayern non sembra disposto alla seconda beffa per mano nerazzurra neanche un anno dopo la finale di Madrid e si riversa in avanti con tutte le sue forze, sospinto dallo splendido, caldissimo, tifo dell’Allianz Arena. Ed è così che al 21esimo minuto i bavaresi trovano il gol del pareggio. E nel peggiore dei modi. Nuova papera di Júlio César, nuovo gol di Mario Gómez. Sugli spalti proviamo a rassicuraci nell’unico modo possibile: “dai, cambia poco, ci serve sempre e solo un gol per qualificarci”. Dentro di noi, però, siamo tutti disperati. Se il gol del pareggio avversario può essere superabile, davanti a noi abbiamo la prestazione di una squadra allo sbando, che fa acqua da tutte la parti, pronta all’imbarcata.
Al 40esimo di quel primo tempo infernale, ecco i due secondi più lunghi della mia vita, almeno fino a oggi. Mario Gómez anticipa con la punta da posizione defilata Julione in uscita, il pallone trova un varco dove passare e rotola, lentamente, ma inesorabilmente, verso la nostra porta. Andrea Ranocchia, lì vicino, sembra metterci un’eternità prima di capire cosa sta succedendo, ma alla fine parte per provare a fermare la corsa del pallone che rotola piano piano sulla linea. Il difensore però sembra aver avuto la stessa idea di Thomas Müller, anche lui partito con determinazione per cambiare la traiettoria di quella palla maledetta.
Poi, come se qualcuno avesse fermato il replay, tutto si velocizza, Ranocchia e Müller entrano entrambi in scivolata sul pallone, Ranocchia arriva per primo, ma finisce per l’indirizzare la sfera sul piede di Müller che, quindi, la spinge di nuovo verso la rete. E qui arriva il miracolo. Il pallone colpisce il palo interno e, in qualche modo, ritorna in dietro, salvando così la nave che affonda. Ed è così che terminano quelli che a oggi sono i 45 minuti calicistici più carichi di emozioni della mia vita.
Nell’intervallo proviamo a farci forza a vicenda, sull’onda delle aspettative del prepartita: “Io ci credo ancora”, “Siamo ancora vivi”, “Bastano due gol”, “Siamo la pazza Inter, se non noi, chi altro?”. Al 63esimo le nostre speranze vengono rinfuocate da quel giocatore nel quale noi avevamo riposto le nostre speranze nel prepartita: Wesley Sneijder. L’olandese riceve palla da Eto’o al limite dell’area e, con una staffilata di destro, trafigge la difesa avversaria come un bisturi per infilarsi nell’angolino basso, lasciando Kraft senza speranza alcuna: 2-2.
Forza ragazzi, manca solo un gol, noi ci crediamo! Parte così l’assalto al fortino bavarese: Ranocchia, Pandev, ancora Pandev, Sneijder, Eto’o. Ci provano tutti. All 81esimo tra noi tifosi ospiti cala lo sconforto quando Pandev, involontariamente, blocca un tiro a botta sicura di Sneijder.
Stremati dalle montagne russe di emozioni, lasciamo lo stadio presi dall’euforia: “Cosa abbiamo fatto?!”, “Cosa abbiamo visto?!”, “Ancora non credo!”. Ci avviamo in centro in un bar in un quartiere poco frequentato la sera a raggiungere dei miei amici, e ci sediamo lì, ancora estasiati dall’impresa. Ed è lì che, mentre sono seduto con le spalle alla finestra che dà sulla strada, noto che i miei tre amici interisti stanno gesticolando con qualcuno dietro di me. Mi giro e vedo un signore che, viste le nostre maglie nerazzurre, alza i pollici e ci sorride. Un tifoso interista qualsiasi? No. Gli facciamo segno di entrare per essere sicuri. Ci raggiunge dentro.
Non crediamo ai nostri occhi: è proprio lui. L’uomo che aveva dato il via alla nostra spettacolare serata all’Allianz Arena. Nicola Berti. Le coincidenze della vita. Stretta di mano, complimenti vari, e poi via anche lui. Via dal bar, via dalla nostra serata. Ma ormai sempre presente nei nostri racconti di una serata tra amici e di una serata di calcio indimenticabile.