Il sostituto di Cavani? Rafa Benitez
Arrigo Sacchi dice sempre che una squadra di calcio è come un’orchestra con undici musicisti che suonano al ritmo dettato dal direttore in piedi davanti a loro. Non conta avere il miglior chitarrista del mondo, il miglior batterista, il miglior violinista se poi non sanno suonare insieme. Conta la loro capacità di unire gli intenti e viaggiare tutti sulla stessa sinfonia.
Nel momento in cui, però, il miglior musicista che hai decide di andare a suonare in un’altra orchestra perché nella tua si sente limitato e ormai senza stimoli, ti ritrovi di fronte a una scelta: o ne trovi un altro, con il rischio che non sia altrettanto bravo e che non si collochi alla perfezione in quei meccanismi ormai oleati, oppure cambi musica, partendo dal direttore.
Ed è proprio quello che ha fatto De Laurentiis con il suo Napoli. Cavani ha deciso mesi fa di andarsene e il presidente ha scelto di rivoluzionare la sua orchestra. Via anche Mazzarri e dentro Benitez, con il compito di insegnare una nuova musica a un gruppo che ormai suonava a memoria le note imposte dal tecnico toscano.
La decisione mi trova d’accordo. Il Napoli di Mazzarri era una perfetta macchina da contropiede, una squadra che sapeva difendersi in dieci e che ripartiva giocando a occhi chiusi, trovando in Cavani un perfetto attaccante moderno, capace di ripiegare senza perdere la lucidità sotto porta.
Ma quanti ce ne sono così? Pochi, forse nessuno. Aveva senso tenere la stessa intelaiatura cambiando solo la punta di diamante? No, nemmeno se fosse arrivato un Falcao o un Ibrahimovic, le migliori prime punte in circolazione.
Giusto, quindi, cambiare anche stile di gioco, cambiare direttore e non essere, così, vincolati alla presenza di un attaccante sullo stile di Cavani.
La scelta è ricaduta su Rafael Benitez, mal sopportato dal tifo interista vedovo di Mourinho non più di tre anni fa. Scelta, quella del facoltoso Aurelio, che potrebbe essere la più decisiva del mercato napoletano.
Non c’è prima punta che tenga, il vero fuoriclasse del mercato partenopeo è proprio l’allenatore. Due Europa League (l’ultima vinta a maggio con il Chelsea), una Champions League, una Supercoppa Europea e un Mondiale per Club, oltre a due premi come “Miglior allenatore dell’anno UEFA” vinti nel 2004 e nel 2005.
Ma a parlare per lui, oltre ai trofei internazionali alzati, è un importantissimo dato di fatto: Benitez ha vinto ovunque sia andato.
Valencia, Liverpool, Inter, Chelsea. Da quando “Rafè” (questo il modo in cui l’hanno ribattezzato i tifosi azzurri) è nel calcio che conta ha sempre lasciato la sua impronta in ogni squadra che ha allenato. In grado di interrompere il dominio catalano-madridista in Spagna, capace di far vincere quel Liverpool in Europa, riuscito a far concludere alla grande la stagione a un Chelsea che aveva iniziato malissimo.
Solo all’Inter non l’hanno capito e non gli hanno dato tempo — né i giocatori né i tifosi — e, pur vincendo un Mondiale per Club, ha fatto le valigie a metà stagione, condannando, di fatto, i nerazzurri a cambiare allenatore con una media di uno ogni sei mesi.
Se a Napoli il presidente, i giocatori, la piazza — intesa come tifosi e media — avranno pazienza e gli daranno modo di lavorare, nel giro di poco avranno modo di festeggiare per qualcosa di importante. La conferenza stampa di ieri fa capire bene con che spirito lo spagnolo sia arrivato ai piedi del Vesuvio. Pronto alla battaglia sportiva.
Gli azzurri sono pronti, stanno per impugnare i loro strumenti. Le mani del direttore sono quelle giuste. Adesso è arrivato il momento. Rafè, dai il via alla musica.