Lo strano caso di Emanuele Giaccherini

Non è ufficiale, ma poco ci manca. Emanuele Giaccherini lascia la Juventus e la Serie A, destinazione Sunderland. Alcune considerazioni, in una Domenica calda e lontana dall’inizio della stagione agonistica, vengono spontanee.

Prima di tutto, non è la fine del mondo. C’è di peggio, poteva andare meno bene. Al club come al calciatore. Nonostante tutto, la Premier League resta il campionato di livello più alto nel Vecchio Continente (e non solo), zeppa com’è di stranieri e di stelle. Rispetto alla Premier degli anni 90, ora la Manica l’attraversano anche gli stranieri meno forti, quelli di talento medio, quelli promettenti, quelli onesti che un apporto lo danno sempre, indovinando anche alcune partite (Giaccherini è uno di questi).

Ora, con la crisi dei vivai autoctoni, l’ex First Division è lontana parente del campionato che fu, ma resta competitiva, interessante, tirata. Per la Champions League, la lotta non è mai scontata (Arsenal, Spurs, forse Liverpool sono squadre che lotteranno per sentire l’inno del massimo trofeo europeo nel 2014-2015), ma anche ai piani inferiori non si sta così male.

Le squadre che lottano per salvarsi si sono rafforzate e si rafforzano, per evitare (magari) la lotta delle ultime giornate. Molti gli stranieri anche lì, negli spareggi salvezza a stadi pieni e ambiente caloroso. Il Sunderland, preso da Paolo Di Canio in piena apnea la stagione scorsa e salvato (con eterna riconoscenza dei tifosi Black Cats, eterno oblio per la polemica sulle posizioni politiche dell’ex laziale), sarà protagonista di un’annata così. Sospeso fra ricerca della salvezza e qualcosa di più, alla ricerca di entusiasmo e risultati.

E veniamo, davvero, a Giaccherini. Chi scrive non è che sia proprio un suo ammiratore, ma la sua Confederations Cup parla e lo fa con un accento elegante, bello e raffinato: una valutazione che è cresciuta, un addio più o meno indolore per la Juventus. Che ha budget, organico e strutture per non farsi cambiare la vita, da un trasferimento così, ma che certo su questo giocatore è stata freddina.

Interessanti i social network, sempre specchio della vox populi, almeno della sua parte tecnologicamente più all’avanguardia, più connessa. Le pagine e i profili inglesi, al netto (anche) delle prestazioni brasiliane del ragazzo di Talla (Arezzo), parlano di bargain e colpo assoluto, in relazione al prezzo relativamente basso. Gli omologhi nostrani, invece, citano Woody Allen e Prendi i soldi e scappa, ironizzano sulla (poca?) lungimiranza di Di Canio e via discorrendo.

Mi chiedono dalla regia, tra l’altro: Prandelli che farà? A Giaccherini, regalo del fato o raccolta di quanto seminato che sia, il compito di sapere fare come Di Canio, Di Matteo o Zola. Non quanto a classe o risultati, ma come mentalità: il suo dovere sarà adattarsi ai ritmi e alla fisicità di un calcio diverso dalla nostra Serie A, guadagnarsi ancora la Nazionale. In punta di piedi.

Il commissario tecnico azzurro, che mai ha snobbato i calciatori dei club di medio-bassa classifica (Gilardino del Bologna, Ogbonna del Torino e altri), potrà mettere a tacere le dicerie per cui certi calciatori diventano azzurri solo perché bianconeri.

E Giaccherini telefoni a Santon, per chiedergli un po’ cosa significa il derby fra Sunderland e Newcastle per le città, gli ambienti e tifosi.

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Matteo Portoghese