“Sta per finire il primo minuto di recupero, l’unico, vediamo se entrerà Leko, palla in area… la mischia furibonda, conclusione, gooool! Goool! In zona Turchia! Semih, uno a uno! Cose mai viste a Vienna!”
E’ così che voglio aprire questa storia. Una storia “sempre uguale e sempre diversa“, per dirla con Don Camillo. Sempre uguale, perché il minimo comune denominatore della nostra serie di articoli è l’emozione, l’urlo, il battito del cuore. Sempre diversa, poiché non si sa dove andremo a parare. C’è chi parla della propria squadra del cuore, chi della propria Nazionale e chi invece ha indelebile nella memoria uno Stefano Bizzotto al fulmicotone, che esplode nel racconto del pareggio della Turchia contro la Croazia all’ultimo minuto dell’ultimo tempo supplementare, durante l’Europeo del 2008. Se poi aggiungiamo il fatto che il gol balcanico era arrivato appena 120 secondi prima, bè, siamo davanti a una partita che “val bene una messa“.
LA RAPPRESENTAZIONE – Sul palco si presentano quindi due compagnie diverse: dai Balcani arrivano al gran completo dei talentuosi attori principali, contornati da allievi che supereranno i maestri; dai Dardanelli, invece, si
Alla fine succede ciò che era prevedibile: una Croazia fluida che gioca a memoria, contro una Turchia attaccata con lo scotch, ma che combatte come pochi. Partita lenta di ritmo, a volte bloccata, ma con pregevoli trovate d’ingegno. La tattica e l’attesa sono merito dei condottieri: un Fatih Terim con camicia bianca aperta in stile “vacanza homo a Mykonos” e uno Slaven Bilić in trip da acidi, che vaga per l’area tecnica con sguardi assatanati.
Rüştü deve porre rimedio e rinvia alla “viva il parroco” (o meglio, alla “viva l’imam”): la palla arriva in un mucchio di maglie, repentinamente ne esce e si infila direttamente nel sette difeso da Pletikosa. Nel momento in cui Semih Şentürk zittisce lo stadio, nel mio salotto si sente un urlo da Bruce
Arrivano gli ormai insperati rigori. A parte Srna, gli altri tre tiratori croati sbagliano tutti i tiri dal dischetto. Forse trovarsi tra i pali un individuo a metà tra un narcotrafficante e la mia prof di greco, con le guance solcate da due strisce nere, che agita le braccia come un forsennato non ha giovato alla tranquillità dei ragazzi di Slaven Bilić. A proposito, memorabile la reazione del CT balcanico al gol turco: egli scatta come una molla e si precipita dal quarto uomo, inveendo in idiomi di lontano senso logico, per il fatto che il direttore di gara non ha dato il via libera alla sostituzione chiesta dalla panchina. “Vediamo se entrerà Leko“,
APPLAUSI E INCHINI – E così si conclude la nostra serata in teatro: il pubblico applaude, i tifosi a scacchi un po’ meno. La Turchia si inchina di fronte alla platea di Vienna, il terzo miracolo consecutivo è avvenuto: ora è semifinale contro la Germania. Sul palco potranno salire in 14, la panchina più corta della storia, causa infortuni, espulsioni e macumbe lanciate da cechi, svizzeri e croati. Paradossalmente, sarà la gara giocata meglio dalla truppa di Terim a decretarne l’uscita dai giochi. Philip Lahm sarà l’attore principale: suoi i meriti dei tre gol tedeschi, sue le distrazioni che porteranno alle due marcature turche.
Forse fu meglio così, poiché, con quell’andazzo, in finale ci sarebbero arrivati in otto. Scarsi.