Si racconta che quando si desidera fortemente qualcosa, non basta solo concentrarsi e impegnarsi per far sì che accada. Serve un “ingrediente” particolare, una spinta necessaria alla sua realizzazione, ed è l’empatia. Quanta ne provai quel 2 maggio del 2007 è quasi impossibile da raccontare, ma ci proverò.
Ritorno della semifinale di Champions League a Milano contro il Manchester United, dopo che l’andata era finita 3-2, con quella splendida doppietta di Kakà e l’errore di Brocchi a 3 minuti dalla fine che aveva consegnato la vittoria agli inglesi. San Siro che quasi implodeva, pioggia battente dall’inizio della gara, e cuore in gola. Perchè non era una partita normale di una coppa normale; era la gara che avrebbe dato al Milan la possibilità di accedere a una finale dopo il trauma ancora non del tutto assorbito di Istanbul, accaduto giusto 2 anni prima. Perchè c’era proprio il Liverpool ad aspettarci, c’erano coloro che si era impossessati di una coppa già milanista, buttata via per 6 minuti di lucida follia.
Alle 20,40 il rumore della pioggia veniva sovrastato dalle note solenni dell’inno della Champions e l’arbitro dava il via alla battaglia. Ed è stato lì che ho perso la cognizione del tempo e della realtà…esisteva solo il Milan, esistevano solo quei lunghissimi, infiniti e ansiogeni 90′. Il Milan era partito bene anzi, giocava magnificamente, e solo dopo undici minuti il numero 22 rossonero segna il suo decimo gol nella competizione, con un sinistro che van Der Sar non vede neanche partire. Sarà l’inizio di un assedio, di un pressing martellante e di una gara che diventerà, dopo Milan-Barcellona del ’94, la partita perfetta, quei mitici incontri in cui non si trova una sbavatura, una nota dolente. Il cuore continuava a battere ma io non lo sentivo, e alla mezz’ora il secondo sussulto: Seedorf vince un rimpallo e di prepotenza scaglia al volo un tiro angolato che regala il raddoppio ai rossoneri. Ho urlato, eccome se ho urlato. E con me un intero popolo rossonero. C’era solo una squadra in campo, c’erano solo undici leoni che ringhiavano contro i nemici, e non solo metaforicamente se si pensa a Gattuso, il quale annullava anche con un solo sguardo i timidi tentativi di un Cristiano Ronaldo spaesato e tramortito da quella bolgia. Sì, perchè San Siro quel 2 maggio era davvero un inferno.
Inferno che esplose letteralmente nella ripresa, quando un Manchester ormai in confusione totale regalò tre quarti di campo libero al Milan che, con Gilardino innescato da Ambrosini, metteva il sigillo sul 3-0 finale. E fu l’apoteosi. Lacrime di gioia in campo, e non solo…Lacrime provocate da attimi di felicità che anche il calcio può regalare. A me lo ha fatto, ed è un’emozione che scordarmi sarà impossibile. Ed è per questo motivo che ringrazierò quell’undici passato alla storia del calcio per questa partita epica: Dida, Oddo, Nesta, Kaladze, Jankulovski; Gattuso, Pirlo, Ambrosini, Seedorf, Kakà; Inzaghi.