Lunedì sarà il giorno della firma, ma Gigi Datome può essere considerato a tutti gli effetti un giocatore dei Detroit Pistons: sì, proprio la squadra del Michigan, che poco meno di dieci anni fa deliziava il mondo intero battendo in finale i San Antonio Spurs, la franchigia che ha da poco accolto nella sua rosa un altro italiano, Marco Belinelli. Un intreccio che non finisce qui, perché è notizia di ieri l’ufficialità dello scambio che ha coinvolto Andrea Bargnani, da adesso in poi un giocatore dei New York Knicks, proprio quei Knicks che impacchettarono Danilo Gallinari in direzione Denver per riuscire a mettere le mani su Carmelo Anthony.
Per quanto la situazione di (quasi) tutti quanti sia migliorata rispetto alla scorsa stagione, inutile dire che il più felice di tutti sia proprio l’ex ala della Virtus Roma. Datome è riuscito a sbarcare finalmente in NBA, dopo una stagione da MVP della Serie A, mettendo in mostra tutto il talento che gli scout avevano previsto già da quando aveva 16 anni. Non essere entrati dalla porta principale, cioè il Draft, è stato sicuramente uno svantaggio in passato, ma adesso Gigi ha potuto scegliere la squadra a lui più congeniale, sia dal punto di vista salariale che da quello tecnico.
3,5 milioni di dollari in due stagioni, uno stipendio niente male per uno sconosciuto (o poco più) oltreoceano: ora tutti quanti dobbiamo soltanto sperare che il suo atletismo, la sua determinazione e soprattutto il suo talento gli facciano al più presto scalare le gerarchie nella mente di Maurice Cheeks, il neo-capo allenatore dei Pistons, che avrà l’onore di essere affiancato in panchina da Rasheed Wallace. Proprio in quest’ottica, non saranno solo rosa e fiori per il cestista di origini sarde: all’inizio avrà pochi a minuti a disposizione per mettersi in mostra, vista la concorrenza di Kyle Singler e Jonas Jerebko nel suo ruolo: senza considerare che Josh Smith, la nuova stella della squadra acquisito nell’ultima free agency, è un’ala grande con qualche minuto nello spot numero tre.
Datome in questo momento della carriera non ha un posto assicurato in nessuna squadra NBA: manca di esperienza, malizia e soprattutto qualche chilo di muscoli per poter essere incisivo e decisivo anche al piano di sopra. Il maggior dubbio dei cosiddetti “analisti NBA” è infatti nella metà campo difensiva: Gigi ha buona velocità e una discreta dose di muscoli, ma non eccelle in nessuna delle due categorie. Nel caso non trovasse i giusti equilibri in allenamento, rischierebbe davvero di vedersi spazzato via da atleti come Lebron James e Carmelo Anthony, solo alcune delle stelle più splendenti che avrà l’onore e (l’onere) di marcare.
Gigi ha sicuramente il talento per convincere il proprio staff a concedergli minuti, anche nei momenti importanti della partita: l’esperienza di Belinelli insegna che non ci può essere sfortuna più grande che essere etichettati come un giocatore monodimensionale, in grado di compiere una cosa sola in campo. L’azzurro in forza agli Spurs, infatti, ha sofferto l’etichetta di “tiratore”, quando invece è un giocatore a tutto tondo, cresciuto soprattutto in difesa nelle ultime stagioni grazie Williams e Thibodeau, e al contempo sottovalutato nella creazione del gioco a favore dei compagni. I suoi pick and roll con il lungo di turno, infatti, sono un marchio di fabbrica delle squadre in cui Marco ha militato sino adesso.
Sarà un lungo, lunghissimo inverno, fatto di notti insonni per seguire, tifare e (speriamo) celebrare le imprese dei nostri rappresentanti oltreoceano: le incognite sono tante, ma l’entusiasmo è già alle stelle adesso, a più di tre mesi dalla prima palla a due della stagione. Dopo anni e anni, ai tre moschettieri si è finalmente aggiunto anche D’Artagnan: per conquistare l’America però niente colpi di spada, ma solo il rumore della retina.