Tira più un milione di euro che…
Sono talmente tanti, e se ne è discusso con tale insistenza, che alla fine risulta difficile anche contarli. 63 milioni, bonus in più, bonus in meno, qualche clausola qua e là, la quota poi da dare a Palermo e Danubio… insomma, l’operazione Cavani sta facendo muovere talmente di quei soldi in un colpo solo da far rimanere a bocca aperta. Ovviamente, soldi in entrata, perché figuriamoci se nella situazione attuale di crisi le squadre italiane potrebbero mai permettersi di sganciare sull’unghia una cifra simile. Al mondo, come sempre, c’è chi può e chi non può: ecco, l’Italia, a oggi, non può.
Può farlo eccome, invece, lo sceicco che a capo del Paris Saint-Germain sta regalando a Blanc uno squadrone che neanche a Football Manager sarebbe facile da tirar su. Laurent punta il dito, indica, lancia il capriccio, zio Nasser sgancia il grano, il campione fa le valigie e arriva. Beati loro, verrebbe da dire, però chiediamocelo: non c’è un velo di tristezza dietro a tutto ciò?
Senza scendere in discussioni etiche troppo arzigogolate, perché andrei ad affrontare discorsi troppo lunghi da condensare in un unico editoriale, mi limito a considerare ai confini dell’assurdo questa mania di “investire” un patrimonio così immenso in uno settore in cui non potrai mai riscontrare sufficiente concorrenza. Eguagliare la potenza economica dei re del petrolio, oggigiorno, è pressoché impossibile, e ciò che si produce è un dislivello talmente grande che porterà il calcio a perdere in breve tempo tutto il suo fascino. Si arriverà ad avere cinque-sei squadre incredibilmente forti, e tutte le restanti costrette a inseguire. Perché certamente: evitare sprechi, investire sui giovani, progettare il futuro, lavorare in maniera sana e accorta può essere una formula utile per sviluppare il proprio club in modo efficace, ma qualsiasi tipo di lavoro “sano”, suvvia, è scontato che non potrà mai produrre tanti successi quanti quelli che porta avere un riccone a capo che spende, spande, e compra chi vuole.
C’è, però, quella “questione di stile” che alla fine dei conti si fa sentire; quello stile che in tutta questa storia di Cavani, per esempio, proclama un vincente e un vinto. Il vincente è, udite udite, De Laurentiis. Ragazzi, non c’è stato verso: quella cifra voleva, quella cifra ha ottenuto. Tenace, determinato, carismatico, bravo a vendere il suo gioiello al prezzo che, secondo lui, valeva; il vinto? Scontato anche questo: Cavani. “A Real e a Chelsea non si può dire di no”, ipse dixit. Poi, capita che si fa sotto il Psg e supera incredibilmente la concorrenza. Il Psg di quello sceicco riccone che a sua volta è un bel “vinto”: sconfitto dalla sua stessa ricchezza, costretto a trovare continuamente nuovi stimoli per dare un senso al proprio incredibile patrimonio. Finché durerà ovviamente, perché… tornando a Football Manager: quando avete una squadra imbattibile, e in cassa tutti i soldi che volete per comprare chi volete, la monotonia subentra, e cosa accade? Che ripartite da zero: nuova squadra, nuova avventura, nuovi stimoli. Stimoli che Cavani, a Napoli, aveva probabilmente perso, ma che per magia sono riapparsi freschi e profumati appena si è sentito il tintinnio dei milioni cascanti. E chi se ne frega del blasone di Real e Chelsea, allora: si sceglie Parigi, una città che in quanto a storia calcistica assolutamente non ne ha meno di Napoli. Cavani, dunque, passa dalle pendici del Vesuvio all’ombra della Torre Eiffel. Vinto pure lui, come si diceva; sconfitto dalla brama di quei milioni che oramai hanno scalzato dal primato ciò che tutti sapevano essere in testa a quelle cose che tirano “più di un carro di buoi”.