La partita di… Stefano Tomat

Milan-Lione da infarto: una vittoria che riporta alla mente la gloriosa notte di Milan-Ajax

Ci sono notti che tutti i tifosi del Milan non potranno mai dimenticare: penso alle finali di Champions League, ai derby più spettacolari, a tutte quelle partite che hanno scritto la storia di questa gloriosa squadra.

Ci sono alcune sfide, però, altrettanto memorabili, che spesso finiscono un po’ nel dimenticatoio; le emozioni, lo spettacolo e la magia di queste notti raggiungono picchi di intensità elevatissimi, ma a differenza di altre non non diventano leggenda, perché non portano a nessun titolo a fine stagione.

Milan-Lione, ritorno dei quarti di finale della Champions League 2005-2006, è certamente una di queste. Se il diavolo in quell’annata fosse riuscito a superare lo scoglio Barcellona in semifinale (quanto brucia ancora quel gol regolare annullato a Sheva!) e avesse in seguito sollevato il trofeo, allora la sfida con i francesi sarebbe diventata una delle partite simbolo dell’orgoglio rossonero, di quelle da raccontare un giorno ai propri nipotini.

Contestualizzando il tutto, questo era lo scenario: i ragazzi di Ancelotti erano reduci da un biennio maledetto, che li aveva visti uscire di scena ai quarti di finale nel 2004 (con la stucchevole sconfitta per 4-0 al Riazor di La Coruña) e in finale nel 2005 (tutti ricorderanno il rocambolesco 3-3 a Istanbul contro il Liverpool), nonostante fossero, in quegli anni, la squadra più forte al mondo.

In Francia era terminata con uno scialbo 0-0, un risultato ricorrente nelle gare di andata in trasferta del Milan di Ancelotti. San Siro era gremito e la gente sugli spalti era conscia delle difficoltà che la sfida presentava: il Lione era una squadra ostica, con nomi importanti (quali Juninho, Fred, Cris, Diarra, Wiltord), che dominava nel campionato transalpino e che arrivava sovente alle fasi finali della massima competizione continentale. In più, il risultato dell’andata obbligava i rossoneri a vincere.

Leggendo la formazione del Milan, però, si capisce perché San Siro in quegli anni registrasse spesso il tutto esaurito: di fronte a Dida agivano da sinistra verso destra Serginho, Kaladze, Nesta e Stam (Maldini e Cafu non erano al top della forma in quell’occasione); le chiavi del centrocampo erano affidate a Pirlo, che poteva contare sull’estro di Seedorf e la corsa di Gattuso (Ambrosini era l’alternativa ai tre); in attacco, poi, non serve fare nomi: il numero 22 giostrava alle spalle del numero 9 e del numero 7. Punto.

Quel giorno avevo percorso i 390 chilometri che mi separano dalla “Scala del calcio” e avevo preso posto tra le poltroncine blu della Curva Sud, feudo rossonero. All’ingresso in campo dei giocatori, sopra la mia testa campeggiava il logo del Milan, rinforzato da una scritta fantastica, che rendeva l’idea del legame che c’era tra la società e i suoi supporter: “Tu sei tutta la mia vita”.

L’atmosfera che si respira a San Siro in serate così importanti non è descrivibile, come non è facile quantificare i decibel percepiti al 25’ del primo tempo, al primo gol di testa di Inzaghi.

Ma la partita si rivelò difficile come previsto: sei minuti più tardi, la marcatura di Diarra gelò i tifosi italiani, ridando coraggio ai quasi diecimila francesi assiepati nel primo anello verde (al tempo, i supporter ospiti non venivano relegati nella “piccionaia” del terzo anello).

I minuti passavano veloci sul cronometro, la tensione saliva proporzionalmente a essi e il popolo rossonero non trovava la forza per incitare i propri beniamini: il pubblico di San Siro stava vivendo una sorta di choc nel vedere il proprio squadrone incapace di avere la meglio su un ottimo team, ma nettamente inferiore.

I fantasmi delle due stagioni precedenti erano piombati in mezzo agli 80.000 presenti allo stadio. Penso che ogni tifoso si sentisse come mi sentivo io: spaesato, inerme, nel panico più totale di fronte a un’eliminazione che, a conti fatti, sarebbe stata un’incredibile débâcle.

Si era giunti così ai minuti finali: ricordo lo sguardo di incredulità e sconforto che in quell’occasione ci scambiammo  io e mio padre. Non riuscivamo a credere che i ragazzi sarebbero usciti così, eppure stavamo iniziando a prenderne atto.

Ma fu allora che ogni tifoso rossonero visse il déjà vu più dolce di tutta la sua vita: un lancio che parte dalla linea di metacampo, Massimo Ambrosini che salta di testa al limite dell’area. Si, questo film lo avevamo già visto: era Milan-Ajax, la situazione era la medesima, l’azione sembrava ricalcata con la carta carbone.

Un fulmine attraversò il nostro cuore: “Dai, ora Pippo risolve tutto, come tre anni fa, come sempre!”. La palla invece arrivò a Shevchenko che esplose un diagonale rasoterra dei suoi: il portiere la toccò quel tanto che bastava per deviarla sul palo e la sfera percorse tutta la linea di porta.

Io ero esattamente lì dietro e quando vidi la palla andare a stamparsi sull’altro palo mi sentii sconfitto dalla sorte. Un tiro che al minuto 88 colpisce entrambi i pali: “Allora è destino, come a Istanbul” fu il mio pensiero.

Ma c’è chi ci ha creduto più di me, più di tutti i tifosi allo stadio e di quelli a casa. E l’uomo della provvidenza è sempre lui, Pippo Inzaghi, che senza aver mai staccato lo sguardo dal pallone si avventò su di esso come il più feroce dei predatori, gonfiando la rete e facendo esplodere San Siro.

Un aneddoto: questo gol era stato predetto dal pendolino del compianto Maurizio Mosca, che per una volta ci aveva preso davvero, pronosticando la rete del bomber rossonero al minuto 88.

Quelli che seguirono furono cinque minuti di eccitazione mista a paura, ogni palla allontanata dall’area era accompagnata da un boato, fino alla gemma finale: la firma di Sheva, immancabile in tali notti di gloria.

La festa era completa, ma un’ulteriore chicca impreziosì la serata dei tifosi rossoneri; a fine partita, sul tabellone luminoso, apparve il risultato di un altro quarto di finale che si stava disputando contemporaneamente in terra spagnola: Villareal-Inter 1-0, gol di Arruabarrena.

Senza offesa per i cari cugini interisti (che in altri momenti avranno provato la stessa gioia a parti invertite, ed è questo il bello della rivalità cittadina), ma il ricordo del coro “Milano siamo noi, solo noi” che si alzò al cielo in quel preciso istante facendo vibrare lo stadio mi fa venire ancora oggi la pelle d’oca.