Storie di Provincia: il Como dei talenti
Per la maggior parte dei campionati di serie A disputati negli anni ’80, le squadre lombarde ebbero tra le loro rappresentanti anche la squadra del famigerato lago che volge al mezzogiorno. Il Como infatti, disputò prima due stagioni tra il 1980 e il 1982, poi di nuovo cinque stagioni in fila. Tra il 1984 ed il 1989.
Fucina di talenti, già a metà degli anni ’70, il Como aveva svezzato una colonna portante della Juventus e poi futuro campione del mondo, come Marco Tardelli. Durante la prima delle due permanenze ottantine in serie A, dalle file dei lariani svettò uno dei migliori difensori centrali che l’Italia abbia avuto: lo “zar” Pietro Vierchowod, protagonista di una lunghissima carriera (anche lui campione del mondo, pur senza scendere in campo), marcatore implacabile ma anche dotato di una velocità nei recuperi tale da consentire ai propri allenatori di alzare la difesa qualche metro più su, favorendo il gioco a zona, come accadde nell’anno dello scudetto della Roma.
Dietro il successo del vivaio del Como, ritroviamo il lavoro di Mino Favini, colui che negli anni ’90 passò a curare il settore giovanile dell’Atalanta, continuando quel lavoro di semina avviato a Como.
Quando nel 1980 riaprirono le frontiere per i calciatori stranieri, neanche il Como fu immune dal bidone venuto dall’estero. Ma a differenza di tante altre squadre, l’extraterrestre non fu un brasiliano saudagico né un puntero stemperato o un bomber venuto dall’Est, bensì un terzino austriaco, Dieter Mirnegg. Incline forse più alle piste da sci (in gioventù fu allievo del discesista Franz Klammer) che al comando dell’area di rigore, a lui fu affidato il compito di sostituire Vierchowod, ma ben presto fu chiaro che forse non lo avrebbe fatto rimpiangere solo in caso di settimana bianca.
Ma forse per la memoria dell’errore fatto con Mirnegg, al ritorno in A, nella stagione 1984-85, il Como inizia proprio in difesa a costruire le fortificazioni per la salvaguardia del proprio angolo di serie A. In casa, il Como eguaglia un primato appartenente al Milan di Rocco con soli due gol subiti in quindici gare. Tra i difensori, troviamo tre molossi del tempo, tutti celebri anche con i loro soprannomi: Enrico “Tarzan” Annoni, Antonio “Cicoria” Tempestilli e Pasquale “O’Animale” Bruno.
Alterno fu invece il contributo dei due stranieri, lo svedese Dan Corneliusson (ex centravanti del Göteborg vincitore della Coppa Uefa 1980) e Hansi Muller, tedesco già campione d’Europa e poi vicecampione del mondo con la Nazionale, reduce da una fallimentare stagione all’Inter, dove fu ricordato più che per il contributo tecnico, per il vezzo di entrare in campo profumato di acqua di colonia,per un disco insieme a Raoul Casadei e per i dualismi con Beccalossi. A Como, ma con la frequenza con cui si esibisce una bella auto nei raduni annuali. Ultima stagione invece con la maglia del Como per un regista di talento, come il sardo Gianfranco Matteoli.
Nella stagione successiva, il Como fa segnare i più larghi successi esterni della propria storia in serie A: i 4-1 inflitti a Lecce ed Avellino nei propri stadi, riuscendo a salvarsi a fine campionato, grazie alla “cura Marchesi”, allenatore subentrato a Roberto Clagluna nel finale di stagione, che grazie a questi successi convinse la Juventus ad ingaggiarlo per la stagione successiva.
In questa stagione, Corneliusson migliorò il proprio apporto, sostenuto anche dal brasiliano Dirceu, celebre protagonista con tante maglie di provincia in quegli anni.
Si mette in luce anche un altro dei talenti della nidiata comasca: Stefano Borgonovo, autore di dieci reti. A centrocampo, spicca Luca Fusi, poi passato a vestire le maglie di Torino e Juventus.
La stagione successiva vede sedere sulla panchina comasca Emiliano Mondonico, altro nome spesso ricorrente nelle cronache di provincia. La squadra raggiunge una salvezza tranquilla, ma deve fare a meno di Oreste Didonè, giocatore talentuoso che per via di un brutto infortunio non riuscì a concretizzare una carriera all’altezza. Stesso destino amaro e carriera compromessa anche per altri due registi di centrocampo dotati di capacità calcistiche superiori alla media, come il brasiliano Milton (ingaggiato insieme al connazionale Cruz, che rifiutò il trasferimento, vestendo in seguito le maglie di Napoli e Milan) ed Egidio Notaristefano, protagonisti nelle stagioni successive.
Fu una delusione storica invece, la stagione dell’argentino Claudio Daniel Borghi, pallino di Berlusconi, acquistato dal Milan dopo un duello di mercato con la Juventus e con l’Avvocato Agnelli in persona, poi girato in prestito per volontà di Arrigo Sacchi, che ne aveva subdorato l’inadeguatezza al calcio italiano. Tra i primi a fregiarsi dell’etichetta di “erede di Maradona”, di Borghi disse Michel Platini: “E’ il Picasso del calcio”. Ma a Como, non lasciò traccia tangibile di cotanto talento.
Nel 1989 terminò l’avventura del Como in serie A, non prima di aver lanciato l’ennesimo talento vero, Marco Simone. Seguirono stagioni di decadenza ma anche il rapido riaffaccio in serie A nella stagione 2002-03, dimenticato rapidamente dai più, tranne forse dagli scommettitori beffati dal pareggio esterno, ottenuto sul campo della Juventus, miglior risultato di stagione, insieme ad una vittoria interna per 2-0 sulla Roma.