Riposi in pace, Stefano Borgonovo. Tanto si è detto sulla sua malattia e ancor più si dovrà fare in un Paese dove sulla ricerca si alternano sperimentazioni incoraggianti e mancanze tanto culturali quanto strutturali, che ne disegnano un passo da gambero. Ma dopo averlo visto per lunghi anni lottare per affermare comunque il proprio istinto vitale anche nell’immobilità articolare a cui era costretto, è appena giusto ricordare anche le gesta atletiche di chi è stato, negli anni ’80, non solo un centravanti di serie A, ma anche un bomber di razza.
Stefano Borgonovo inizia a farsi notare lì dove il lago luccica e volge a mezzogiorno, sulle sponde lariane di Como. Con la maglia dei comaschi, Borgonovo esordisce quasi minorenne in serie A già nel 1982, ma per quanto scalpiti, sarà solo qualche anno dopo, esaurita la gavetta con la Sambenedettese e ancora con il Como in serie B, che riuscirà ad indossare la maglia da titolare nella massima serie.
Borgonovo era forse un centravanti di altri tempi. Asciutto e mobile, dotato di scatto, ma non di vera e propria velocità, rapace nel breve, abile a rubare il tempo e scartare nello stretto, capace di staccare di testa basandosi sull’anticipo più che sulla potenza in elevazione. Possedeva la precisa caratteristica di “vedere la porta”: pure bendato e dopo dieci giri in mezzo al campo avrebbe saputo centrare lo specchio della porta. Possiamo inserirlo in quella genia di goleador, che da Paolo Rossi a Pippo Inzaghi, hanno caratterizzato la scuola italiana, esaltando i tifosi prima ancora che i critici.
Nel Como, Borgonovo si afferma segnando raffiche di gol, in un’epoca in cui i bomber erano tali anche se segnavano 15 reti piuttosto che 25 o 30 come oggi, dovendo sudarsele di fronte a difese spesso chiuse a riccio, in un numero di partite minori e con un livello di competitività, rispetto agli obiettivi di ogni squadra, probabilmente più alto.
Segna in uno spareggio salvezza con il Cesena, sfogandosi poi con un genuino gesto dell’ombrello, segna piazzando in porta palloni vaganti, dopo lunghi appostamenti in area di rigore, segna in rovesciata, planando in volo o avvitandosi in tango figurato. Fino a farsi ingaggiare dal Milan, che lo gira inizialmente alla Fiorentina.
A Firenze, Borgonovo vive probabilmente la sua stagione più esaltante. Qui incontra un giovane talento che farà la storia del calcio, a Firenze e in Italia: Roberto Baggio. Il primo tratto di strada, lo fanno insieme: Baggio inventa, assiste e dispensa, Borgonovo si smarca, conclude e conficca. Nasce la “B2”, Baggio – Borgonovo, coppia che esalta il movimento e il gol, nella sua accezione più pura di finalizzazione gioiosa, che prima o poi arriva e quando arriva ti fa sobbalzare in piedi di scatto.
Esattamente come accadde in una memorabile partita contro la Juventus, quando il successo casalingo contro i rivali bianconeri poteva caratterizzare il senso di una stagione, anche indipendentemente dal piazzamento finale. La Juventus andò in vantaggio grazie al portoghese Rui Barros, poi Roberto Baggio trasformò il rigore del pareggio, che avrebbe potuto sigillare la partita su una parità recuperata, dal sapore dolceamaro delle mezze stagioni. Ma così non fu: al 90°, nell’ultimo soprassalto, Baggio indirizzò un calcio d’angolo nel bel mezzo dell’area, lì dove, per tutto lo stadio, sarebbe stato bello se ci fosse stato appostato qualcuno. Stefano Borgonovo, ad esempio. Colpo di testa e gol. Chi c’era allo stadio, non ha ancora dimenticato.
Nella stessa stagione, “Borgogol” scolpisce un altro gol nella memoria del campionato. E’ l’anno dell’Inter dei record di Trapattoni, una squadra talentuosa ed organizzata, che a fine stagione lascerà agli avversari le briciole. Ma a Firenze, sul finale di una partita rocambolesca, il risultato sembrava inchiodato sul 3-3, fino all’ 85° della ripresa. Ci sono gol e gol, nel calcio. Chi si esalta per una volata, chi per una stoccata precisa, chi per una giocata acrobatica, magari una sforbiciata scenografica. Chiedetelo ad un centravanti italiano da area di rigore, quale sia il più bello dei gol. Vi risponderà che non ci sono dubbi, il più bello è quello di opportunismo puro, che premia il tuo sforzo di esserci, il fatto stesso di voler segnare, la fortuna di vivere. Così, quando Bergomi appoggiò corto un retropassaggio per Zenga, Borgonovo volò sul pallone, mise di mezzo una zampa, un tentacolo o non so cosa, tanto fu rapido il gesto, e la palla ricomparve in rete. 4-3 finale. Prima sconfitta dell’Inter in Campionato.
A fine stagione, grazie alle prodezze della B2, la Fiorentina arrivò in UEFA, Borgonovo (con Baggio) esordì in Nazionale (3 presenze per Borgonovo) e, malgrado qualche reticenza personale, fu richiamato al Milan.
Qui, per quanto chiuso da Van Basten, da bomber di razza non mancò di presenziare nei momenti decisivi. Se infatti oggi, la fama di quel Milan di Sacchi è indissolubilmente legata ai fuoriclasse olandese, a Baresi, Donadoni e agli altri meravigliosi interpreti dell’orchestra sacchiana, non si può dimenticare la semifinale di Coppa dei Campioni giocata il 23 maggio 1990 a Monaco di Baviera. Anche in questo caso, il vento alle spalle del bomber non soffiò in un momento qualunque, ma si alzò al termine di un bellicoso secondo tempo supplementare, lanciando Borgonovo sulla cresta del gol, con due passi di anticipo sull’uscita del portiere bavarese Aumann, giusto quelli necessari ad alzare un pallonetto dal limite dell’area, che si insaccò rimbalzando, come i cuori in attesa dei tifosi.
Stefano Borgonovo in seguito tornò a Firenze, indossò anche le maglie del Pescara e dell’Udinese, ma furono stagioni minori, comunque sempre illuminate, sia pure con minor frequenza, dal lampo di un gol. Non un gol qualunque, ma sempre il gesto di un centravanti, un bomber, un goleador. Un numero nove da ricordare.