Più che per Prandelli, la prima immagine è per loro, i capitani: i due portieri. E, per inciso, si tratta probabilmente di due dei tre migliori interpreti al mondo (il terzo, a mio avviso, è Čech). Noti entrambi anche per le doti di freddezza dalla parte “sbagliata” degli undici metri. Buffon, poi, ha un conto personale con la Spagna: e di recente non gli ha detto bene (la finale degli Europei brucia ancora, avendo dovuto raccattare il pallone ben quattro volte — ricordandoci poi come era uscito infuriato dalla semifinale).
Replay. Candreva contro Casillas: cucchiaio immediato, forse pretende davvero troppo, un colpo del genere come esordio è sintomo di sicurezza che, al primo colpo, può essere davvero eccessiva. Xavi sa come si fa: spiazza e non ci si pensi più, dritti all’obbiettivo nel più breve tempo possibile (come a dire che il cucchiaio non lo ha visto nemmeno).
Andiamo con Aquilani: portiere non spiazzato, ma vale la solita regola: rigore parato è rigore sbagliato, cioè: se il rigore è tirato come si deve, non esiste portiere in grado di pararlo. Tocca a Iniesta, l’autore del gol che è valso un Mondiale, tre anni fa: nessuna esitazione, dentro.
De Rossi, dopo una stagione difficile: rincorsa interminabile e quel tiro alto che per qualche attimo ci ha fatto tremare, fino alla rete che si gonfia e ci scioglie in un sollievo; a rispondergli è Piqué, forse ancora meno famoso della sua ragazza: dentro a botta sicura, ma nessuno riesce a sorridere o rilassarsi. La Confederations viene reputata una competizione di cartone, eppure al momento di giocare nessuno lo pensa più.
Giovinco: alto grossomodo quanto il dischetto di rigore, improvvisa una danza con partenza abortita, due falcate larghe e Casillas ipnotizzato, fermo, a fare il terzo palo. E il gioco passa a Sergio Ramos: uno che ha vinto tutto, ma adesso la palla pesa. Sguardo basso e fermo, palla dentro. Piqué è un difensore, ma in gioventù ha agito da mediano; e con Ramos hanno fatto due su due in freddezza.
Pirlo: su di lui si è già detto tutto, e si sa anche che gli spagnoli lo stimano (questa la reazione di Piqué al suo cucchiaio, un anno fa). Nella rincorsa guarda due volte il portiere e una la porta, improvvisa una break-dance sapendo che il cucchiaio non lo può più fare: tocca scegliere dell’altro, ed evidentemente ha scelto bene. Juan Mata: può essere decisivo solo in negativo, preferisce non rischiare.
Prova a riscattarsi Riccardo Montolivo: agli Europei, contro l’Inghilterra, aveva sbagliato e da lì era partita la riscossa (sotto forma di cucchiaio) di Pirlo: oggi non sbaglia (sapendo che stavolta il suo errore sarebbe stato tutt’altro che rimediabile). Sergio Busquets, amico dei tifosi interisti: pochi secondi ed è dentro.
Probabilmente gli altri non se la sentono, quindi tocca a Bonucci, il Piqué de noantri: ancora ce ne passa, perché i centrali spagnoli la mettono, a differenza sua. E Navas non perdona, per quanto Buffon ci sia andato vicino. Titoli di coda, prego riavvolgere la cassetta.
Non inganni il risultato finale: 7-6, ma erano i rigori. La vulgata popolare negli ultimi giorni ha detto che subivamo troppi gol: i numeri, in effetti, non aiutano; ma avere costretto i campioni di tutto ai rigori, in condizioni di organico precarie, è sintomo di una squadra che può giocarsela sempre e comunque, se scende in campo con l’atteggiamento giusto. Siamo sempre un gradino sotto, vero; ma scendere o salire è anche questione di fortuna; specie nel giorno in cui il pareggio alla fine dei tempi regolamentari è giunto a reti bianche.
La sensazione è che il ciclo spagnolo sia ancora vivo, per quanto non scintillante come quattro anni fa. Prima o poi passerà. Noi non abbiamo un vero ciclo in corso: abbiamo un rinnovamento “normale”, con un Pirlo ancora esiziale (in attesa di Verratti), mentre i ragazzi crescono e prendono fiducia nei propri mezzi. Il cuore oltre l’ostacolo: a volte non basta, com’è successo a Stefano Borgonovo. Sicuramente qualcuno una finale gliel’avrebbe dedicata, così come era stato nel 2006 per il dramma di Pessotto.
Ripartire da qui: Candreva che diventa via via una certezza, lungo la competizione, può dettare la strada. Bonucci non è Cannavaro, ma Pirlo è sempre Pirlo. E, soprattutto, ogni partita fa storia a sé (altrimenti avremmo dovuto finire dalle parti di Tahiti, contro la Spagna); uscire ai rigori non è mai disonorevole (tranne quando bisognava far fuori Donadoni, voglio dire), e ci consente di non pensare subito al peggio. Ce la siamo giocata fino all’ultimissimo.
Ora abbiamo un anno per costruire ancora più gioco: ricordiamoci che nel 2009, da campioni del mondo in carica, in Confederations non abbiamo neppure superato il primo turno. La missione “Brasile 2014” comincia domenica: se avremo ancora forze per affrontare l’Uruguay (squadra ostica e difficile da affrontare). Dopodiché ci attende un anno intero di giudizi affrettati, che mi auguro Prandelli sarà sufficientemente astuto da ignorare.