Noi, le furie azzurre
La nostra storia parla per noi: non dobbiamo essere secondi a nessuno. Nemmeno ai campioni di tutto, rivoluzionari del gioco del calcio ma pur sempre umani; nemmeno a chi ci ha eliminato per due volte consecutive agli Europei, una mazzata tremenda che potrebbe stendere chiunque. Chiunque eccetto noi, perché nonostante le difficoltà delle società italiane e del movimento in generale, siamo pur sempre la Nazionale Italiana.
Dimostriamo, una volta per tutte, che le furie siamo noi. Quelli dei quattro mondiali vinti, di cui l’ultimo in condizioni mentali disastrose, con il più grande scandalo calcistico del nostro paese alle porte: eppure, nonostante le monumentali avversità, riuscimmo a battere tutti, dalla Germania di Ballack alla Francia di Zidane. Non gli spagnoli, però, che ancora dovevano inaugurare il loro ciclo vincente: nella nostra storia recente infatti non siamo riusciti a portarci a casa lo scalpo di Iniesta e compagni. Questo dev’essere uno stimolo in più per gli azzurri, considerati sfavoriti da tutto il mondo: se il calcio fosse una scienza esatta, probabilmente non dovremmo nemmeno scendere in campo.
Il nostro marchio di fabbrica, la difesa, ha fatto acqua da tutte le parti; e se subire quattro reti dal Brasile potrebbe sembrare normale amministrazione (anche se i tempi di Rivaldo, Ronaldo, Ronaldinho e Kakà appaiono molto lontani), di certo Honda e Kagawa non rappresentano esattamente il prototipo di avversario difficile da fermare.
A tutto questo aggiungiamo il fattore Balotelli, a oggi il nostro miglior giocatore in questa Confederations Cup. Mario non ci sarà questa sera, un vero peccato perché la sua fisicità avrebbe potuto mettere in seria difficoltà la retroguardia spagnola. Al suo posto, molto probabilmente, ci sarà Gilardino: campione del mondo, per carità, ma quanto avrebbe fatto comodo Osvaldo in questo momento?
In mancanza di talento puro, sarebbe troppo facile alzare bandiera bianca facendo appello alle pesanti assenze: bisogna giocare da veri gregari. Loro ci schiacceranno, ci faranno girare per il campo sino allo sfinimento, costringeranno noi a sporcarci la mani: non importa, perché sono queste le partite belle da giocare. Quelle che puoi affrontare con una certa spensieratezza, senza l’assillo di vincere a tutti i costi. Lasciamolo a loro questo pensiero, permettiamogli di fare il loro gioco tutto passaggi in orizzontale: nella nostra mente dovrà esserci soltanto la lucidità del campione, quella che ti permette di fare la cosa giusta al momento giusto. Venisse a mancare quella lucidità a causa dell’acido lattico, allora è benvoluta anche un’alternativa: il film del terribile 4-0 dell’1 luglio scorso. Spazzati via come una casa di legno davanti a un tornado. Noi non siamo più quella squadra. Dimostriamo al mondo intero e ai brasiliani che per quella coppa, l’anno prossimo, ci siamo anche noi. Uscire con una “superpotenza” come la Slovacchia va bene una volta, ma due delusioni di fila non possiamo tollelarle: quale occasione migliore, allora, per uscire “all’italiana” dal baratro?
Indossare quella maglia è un privilegio che in pochi possono vantare di avere nel proprio curriculum: dimostrate a noi e a voi stessi l’amore che provate per la vostra nazione, per la vostra bandiera, per i vostri tifosi. Rendeteci onore a migliaia di chilometri di distanza, perché una partita di calcio non risolve i problemi quotidiani nella maniera più assoluta, ma strappare un sorriso e una gioia a chi soffre, forse, vale più di mille gol. Non è più una questione di “voi contro loro”: si tratta di noi, tutti quanti insieme, contro la Spagna. In fin dei conti siamo le furie azzurre, no?