Ci sono cose che un tifoso proprio non riesce a dimenticare. Cose che solo al ricordo producono un brivido, e scatenano la classica reazione: ti giri verso l’amico e gli dici “oh, ma ti ricordi quando…” Ecco: tra passato e presente, di seguito dieci di quelle cose che per un tifoso della Roma possono rivelarsi veri e propri incubi.
10 – Il nuovo stemma. Non potevamo non partire da lui: decima posizione per il nuovo logo dell’As Roma: la lupa capitolina (a cui sembra le manchi una zampa) stilizzata, di colore grigio lapide, e sotto la scritta Roma 1927. “Roba che con 30 euro il mio grafico l’avrebbe fatto meglio” (semi-citazione, tutti riconosceranno da quale film è tratta). Già, un incubo il nuovo stemma: verissimo che assomiglia a quello delle maglie false che si trovano sulle bancarelle di Porta Portese.
9 – L’attaccante rivelazione. 30 miliardi di lire, nel 1999, erano una valanga di soldi. Valevano molto di più dei 15 milioni di euro che sarebbero la “traduzione” moderna di quella cifra. Allora, con trenta miliardi ci compravi un campione vero: quello che certamente non è stato Fabio Junior, strappato al Cruzeiro per quella cifra e capace di rimediare fischi e pernacchie a ogni partita. La Roma, per quanto riguarda i bomber, ha sempre avuto un fiuto da cane da tartufo in pensione. Esclusi Batistuta (c’era da scoprire ben poco), Montella, e pochissime altre eccezioni, i vari Bartelt, Mido, Dahlin, Portaluppi, ne sono eccellente dimostrazione. Menzione d’onore per Jorge Luis Andrade da Silva: non era un attaccante, ma un umile centrocampista. Arrivato come “Marajà”, se ne andò via con l’onorevole nomignolo di “er moviola”.
8 – La prima di campionato. Eh già, la prima di campionato. Da sempre, la partita d’esordio in casa Roma è considerabile un po’ come una cartina tornasole: dal suo esito, si srotoleranno le sorti della stagione. L’ultimo successo all’esordio? Stagione 2007/2008, Roma-Palermo 2-0. Guarda caso, quell’anno i giallorossi vinsero la Coppa Italia. L’anno prima? Roma-Livorno 2-0, e… giallorossi, ovviamente, che portarono a casa… sì, la Coppa Italia. Che non sarà uno Scudetto, ma comunque è un trofeo che ti sistema un po’ il bilancio stagionale. Ecco: dal 26 agosto 2007 in poi, mai più una vittoria alla “prima”. Sarà anche per questo che di soddisfazioni ben poche…
7 – La punizione di Figo. Correva l’anno 2006, si giocava la SuperCoppa Italiana; stadio Giuseppe Meazza di Milano, Inter-Roma, i giallorossi partirono con il piede schiacciato sull’acceleratore, regalando subito sprazzi di grande calcio, gol, e giocate esaltanti. Dopo 34 minuti, il risultato era 0-3: gol di Amantino Mancini e doppietta di Aquilani. Sembrava l’apoteosi per i tifosi della Roma, che tutto si aspettavano tranne che i nerazzurri, pian piano, recuperassero. Vieira accorciò le distanze, Crespo fece 2-3, ancora Vieira rimise tutto in equilibrio. Supplementari. Figo, lui, tirò fuori dal cilindro la punizione della vita: palla imprendibile per Doni. 4-3, banchetto solo annusato dalla Roma, e divorato famelicamente dal biscione.
6 – Il Liverpool. Era una Roma splendida, quella: fresca di tricolore e ricca di talento. Falcao, Pruzzo, Bruno Conti, Di Bartolomei, Tancredi. Niels Liedholm in panchina, Dino Viola alla presidenza. Era il 30 maggio 1984, finale di Champions League allo stadio Olimpico: occasione golosa per centrare una storica vittoria in casa. Uno a uno al termine dei tempi supplementari. Si va dagli undici metri. Nicol sbaglia per gli inglesi, Di Bartolomei la insacca. Gol anche di Neal. Bruno Conti, suo il primo errore giallorosso. Di Graziani il secondo; gli inglesi non falliscono più, la Champions vola via, e i Reds festeggiano in casa di una Roma sconfitta, ma brava a lottare fino all’ultimo minuto.
5 – Giampaolo Pazzini. Li ha sempre segnati i gol, lui; li ha segnati anche in quest’ultima stagione, in maglia rossonera, dopo che tutti lo etichettavano come l’attaccante più inutile che il Milan avesse comprato. Due gol, però, giusto due gol, a Pazzini, tutta la Roma giallorossa non perdoneranno mai: quelli che mise a segno il 25 aprile 201o, in un Olimpico gelato da quella sconfitta che, di fatto, regalò lo Scudetto all’Inter. Tra l’altro, Cassano propiziò la prima rete, con un cross morbidissimo, e in panchina c’era Delneri, tecnico che qualche anno prima, a Roma, non è che lasciò un grandioso ricordo, e che quel giorno si prese una piccola grande rivincita.
4 – Il portiere. Poco da dire: dopo Michael Konsel, portierone austriaco idolo dei tifosi giallorossi e delle adolescenti di tutta Roma, a difendere i pali capitolini non c’è stato nessuno che sia stato all’altezza della situazione. A partire da Antonioli: tricolore, sì, ma anche eccezionalmente bravo a elargir papere. Dopodiché: Pelizzoli, Doni, Julio Sergio, Stekelenburg, Goicoechea (mondieu…) tutti lì, tra i pali, impegnati nello smanacciar palloni e a evitare ironie sul proprio conto. Ma oramai nella Capitale ci si è abituati: per vedere un numero 1 che sia veramente un numero 1, tocca aspettare sempre un paio di Giubilei.
3 – Carlos Bianchi. Con lui in panchina, Totti avrebbe nel curriculum un bel periodo di maturazione alla Sampdoria. Basta questo per far salire il tecnico argentino sul podio. Basta questo per far sì che ogniqualvolta si pronunci il suo nome, qualcuno evochi un “mortacci sua” da utilizzare come degno accompagnamento. “Carlos Bianchi, mortacci sua”. Suona pure bene.
2 – Gli scudetti buttati contro le già retrocesse. Una vera e propria arte, questa. Sarà capitato a molte, ma la Roma, nel gettare alle ortiche il lavoro di un’intera stagione, si è dimostrata particolarmente capace. Due le date indimenticabili: 20 aprile 1986 e 7 aprile 2002. Partite: Roma-Lecce e Venezia-Roma. Neanche a dirlo: sia i salentini, sia i veneti, erano già belli che retrocessi. Risultati finali: 2-3 la prima partita, 2-2 la seconda. In quest’ultima, l’allora undici di Capello era sotto addirittura di 2-0 a pochi minuti dalla fine, salvo poi trovare il pari grazie a due rigori fischiati dall’arbitro Collina. In entrambi i casi, ovviamente, lo Scudetto fu… sì, gettato alle ortiche. In entrambi i casi lo scudetto fu juventino.
1 – Er go’ de Turone. Quella vicenda, per tutta la Roma giallorossa, rappresenta il più grande furto sportivo di tutti i tempi. Altra sfida scudetto tra Roma e Juventus, stadio comunale di Torino, 10 maggio 1981. I capitolini, in classifica, hanno un punto di vantaggio sui bianconeri. Il direttore di gara, il signor Paolo Bergamo, annulla un gol a Maurizio Turone per un fuorigioco che poi, dalla moviola, si scoprirà inesistente. Anni di polemiche, riaccese dalle recenti dichiarazioni di Carlo Sassi (all’epoca curatore del moviolone), che ha rivelato la clamorosa notizia: “Moviola falsa, non c’era prospettiva”. Certo, e magari Turone neanche era lui, ma un improvviso invasore di campo scambiato per l’allora difensore giallorosso. Comunque, moviola vera o falsa, er go’ de Turone ancora fa parlare, anzi, urlare tutta Roma. Quando si dice “il passato non si dimentica…”