Storie di Provincia: il poco “clamoroso” Catania di Pedrinho e Luvanor
Prima dell’attuale avventura del Catania, che tanto bene sta facendo nelle ultime stagioni, il precedente più prossimo in ordine cronologico è quello della stagione 1983-’84, quando gli etnei si riaffacciarono dopo una lunga assenza nella massima serie.
Per il calcio di provincia, i primi anni ’80 rappresentarono l’era dei presidenti vulcanici e degli stranieri esotici, delle giornate storiche e delle retrocessioni implacabili. Alle pendici dell’Etna, tutte queste caratteristiche costellarono impeccabilmente la rapida apparizione del Catania, figurante sui titoli di coda del campionato a mo’ di “also starring”, come le comparse del coevo telefilm Happy Days. Di fronte alle soddisfazioni raccolte oggi dalla squadra etnea (ma anche un pò argentina), più dolce è il ricordo di una stagione chiusa all’ultimo posto, con il record negativo storico di soli 12 punti in classifica ed una sola vittoria in campionato (contro il Pisa).
Punto di partenza è sicuramente il Presidentissimo Angelo Massimino, a cui oggi è intitolato lo stadio. Dopo aver costruito nel settore edile le proprie fortune in Argentina, Massimino prese in mano il Catania Calcio e molte diede alla squadra, dagli anni ’60 fino alla tragica fine negli anni ’90. Figura emblematica, viene ricordato dalle cronache soprattutto per i tratti variopinti e per le frasi storiche, che i giornalisti non mancavano di annotare e che oggi, nell’era degli archivi digitali, vale la pena “taggare”, se serve a conservare la memoria di un padre-padrone, che tuttavia è stato molto più che un folkloristico uomo di calcio.
La più celebre è senz’altro quella legata alla risposta data ad un giornalista che gli chiedeva: “Presidente, al Catania manca l’amalgama”, a cui il generoso Massimino rispose: “Ditemi dove gioca e io lo compro.”
Oppure quella riferita al ristorante, di fronte ad una fetta di salmone: “Cameriere, lo porti via questo prosciutto che puzza di pesce!”, che pare fatta apposta per ricalcare le gag del celebre attore siciliano dell’epoca, Franco Franchi.
O la frase “I nostri tifosi ci seguiranno dappertutto e con tutti i mezzi a disposizione, come pullman, treni e voli charleston.”, che comunque sottolineava la passione che circondava il calcio all’epoca.
E, furono davvero una folla immensa, i trentamila catanesi che sostennero all’Olimpico la squadra, negli spareggi vittoriosi con Como e Cremonese per raggiungere la serie A.
Molte le analogie con il caso della Pistoiese: la squadra venne allestita puntando sul gruppo che aveva conquistato la serie A, composto da giovani ed esperti (nel caso toscano, troviamo il futuro allenatore Lippi, in quello catanese Claudio Ranieri), cercando di rinforzarla con innesti tecnici di valore. Se la Pistoiese aveva scelto l’epico Luis Silvio Danuello, a Catania si raddoppiò, con la coppia Pedrinho – Luvanor. “Sto andando in un paese che non vi dico, a comprare due campioni brasiliani”, disse Massimino. Il primo (oggi procuratore), con qualche presenza nella propria nazionale, era un difensore con capacità di impostazione (e da centrocampista, almeno segnò tre reti), ma certo non “il nuovo Falcao”, come disse Massimino. Di lui, resta il ricordo dei buchi lasciati nella propria difesa. Luvanor Donizete Borges, invece, veniva descritto dai cronisti brasiliani come un “giovane Zico”. Di lui, resta un impietoso score che racconta i 30 presenze, senza nemmeno una rete (qualcuna, col contagocce però, ne realizzò l’anno seguente in serie B).
In panchina, l’esperto Gianni Di Marzio, poi invano sostituito da G.B. Fabbri.
Nessuna vittoria illustre permise di imitare il leggendario “Clamoroso al Cibali”, gridato da Sandro Ciotti a Tutto il Calcio minuto per minuto il 4 giugno del 1961, quando il Catania si impose per 2 -0 (per la cronaca, reti di Castellazzi al 25′ e Calvanese al 70′) all’Inter di Herrera (che dopo aver vinto all’andata per 5-0, con quattro autoreti pagò così l’ironia di aver definito gli etnei “una squadra di postelegrafonici”). Tuttavia, resta un episodio da annoverare nella realtà parallela degli “sliding doors” calcistici, alla voce “Momenti di Gloria Negata”.
Successe nella partita casalinga contro il Milan (in cui già giocavano Franco Baresi, Tassotti, Filippo Galli ed Evani), a sette minuti dal termine, quando il centravanti Aldo Cantarutti, uno di quei protagonisti dell’area di rigore che attraversarono la provincia da nord a sud in quegli anni, stoppò di petto una palla in area, se la sistemò e la insaccò con una spettacolare rovesciata nella porta difesa da Ottorino Piotti. Il pubblico impazzì di stupore di fronte al Capolavoro Cantaruttiano. Ma un attimo dopo, quando l’arbitro Benedetti annullò ingiustamente la rete per un fuorigioco inesistente, impazzì di nuovo, stavolta per la rabbia. I giocatori circondarono l’arbitro, qualcuno invase il campo e nelle foto d’epoca si può intravedere anche qualche carabiniere intervenuto per riportare la calma.
Di quel giorno resta nelle cronache un tabellino inchiodato sull’ 1-1, che recita:
Catania: Sorrentino, Chinellato, Pedrinho, Torrisi, Mosti, Ranieri, Morra II, Luvanor, Cantarutti, Bilardi, Carnevale I (77′ Crialesi) – All.: Fabbri
Milan: Piotti, Gerets, Spinosi, Tassotti, F. Galli, Baresi II, Damiani (66′ Incocciati), Carotti, Blissett, Verza, Evani – All.: Castagner Arbitro: Benedetti
E il fantasma di una rovesciata, che potrete rivedere in questo video