Trascorri una vita da mediano, sempre con la stessa maglia e poi, un giorno, ti dicono che quella stessa maglia non la puoi più indossare. Non perché hai deciso di ritirarti dal calcio giocato e appendere le scarpette al chiodo, ma semplicemente perché sei usurato e obsoleto. Un po’ come quel vecchio televisore a tubo catodico che, da un momento all’altro, sta per esalare l’ultimo pixel (passateci l’inesattezza tecnica): sai benissimo quello che può darti, è economico eppure preferisci comunque quel nuovo TV LED appena visto in un centro commerciale.
Solo che quando a essere scartate e giudicate obsolete sono delle persone fisiche con un cuore, la situazione dovrebbe cambiare decisamente. Invece no, perché gli affari sono affari e il calcio moderno è peggio di una ghigliottina in pubblica piazza: per maggiori informazioni chiedere a Massimo Ambrosini, che dopo 18 anni di Milan è stato scartato proprio da quei dirigenti che, molte volte, hanno esultato e alzato trofei anche grazie ai suoi polmoni e al suo grande cuore. Sia chiaro: non sono di fede rossonera, ma questo non mi esime dall’apprezzare comunque lo splendido lavoro svolto in campo per tanti anni dal centrocampista nativo di Pesaro. Non il classico giocatore che ti illumina la serata grazie a un sublime passaggio o una verticalizzazione precisa per la punta, ma la grinta ha sempre caratterizzato ogni singolo metro di corsa effettuato da Ambrosini.
La sua esperienza internazionale e il suo carisma mancherà sicuramente ai tifosi del Milan: chissà che Galliani non rimpianga questa scelta tra qualche mese, visto che il capitano rossonero aveva dimostrato di poter dare qualcosa per la maglia in una decina di partite all’anno. Non di più, perché obiettivamente va riconosciuto fosse ampiamente nella parabola discendente della sua carriera, però la grande voglia dimostrata anche nelle dichiarazioni successive al mancato rinnovo è un segnale forte e chiaro a quella che sarà la sua prossima squadra: Ambrosini c’è, per poco ma calcisticamente parlando c’è ancora.
Oddio, pensandoci bene è sempre meglio lasciare il Milan in questa maniera piuttosto che sentirsi fischiati il giorno del proprio addio al calcio: è successo a Paolo Maldini, eterna bandiera rossonera, che dal centro del prato verde di San Siro ha visto in Curva Sud un sacco di maglie di Baresi. Un segnale forte e chiaro: i tifosi non dimenticano, bastano un paio di parole fuori posto (per la precisione “mercenari” e “pezzenti”) per incrinare anche il rapporto più consolidato.
Consolidato come il legame tra Alessandro Del Piero e i tifosi juventini, che mai lo hanno dimenticato per un solo istante. A Torino non è cosa rara veder camminare per strada presunti supporter del Sydney FC, ovviamente con la maglia numero 10: la stessa che ancora oggi è vacante in casa Juve, perché per lo staff non è di certo facile dover presentare alla piazza il successore di Pinturicchio. Al contrario, però, per la dirigenza bianconera è stato facilissimo scaricarlo appena il suo rendimento non è più stato considerato “produttivo”: a posteriori, visti gli arrivi di Bendtner e Anelka, forse sarebbe stato meglio rinnovare il contratto a Del Piero per altre dieci stagioni.
A volte succede anche il contrario, ossia che i giocatori stessi decidano di abbandonare la propria squadra dopo anni e anni di militanza, nonostante il pugno di ferro della società: Fernando Llorente – nuovo acquisto della Juventus – era considerato un idolo assoluto in quel di Bilbao, dato che aveva iniziato a giocare nell’Athletic nel 1996, all’età di 11 anni. La fame di successo, però, è una tentazione che colpisce quasi tutti i professionisti, e allora a quel punto il “tradimento” è servito.
Forse nulla di male, in fondo, perché si tratta di lavoro: è alquanto inopportuno tuttavia sputare nel piatto in cui si è mangiato per anni. Come ha fatto Sulley Muntari, centrocampista che con la maglia dell’Inter ha vinto quello che in carriera non si sarebbe mai immaginato di alzare al cielo: eppure, appena passato al Milan, non ha esitato un secondo a sparare a zero sulla società e la tifoseria nerazzurra.
La gratitudine prima di tutto, sempre. Dalla prossima stagione “sventoleranno” ancora meno bandiere in campo, e ormai i giocatori che hanno deciso di sposare una maglia si contano sulle dita di una mano: chi sarà il prossimo a essere esiliato forzatamente?