Storie di Provincia: il Vicenza di Guidolin e gli Dei di Stamford Bridge

Quei frammenti di gloria che la Coppa delle Coppe riservò negli anni ’80 all’Atalanta, tornarono a scintillare anche sul finir del millennio scorso, in quel di Vicenza, dove la squadra che fu dei due Palloni d’ Oro, Paolo Rossi e Roberto Baggio, fu protagonista di un’avventura entusiasmante, che coinvolse i vicentini e gli italiani, come non capitava dai tempi del Lanerossi, quando il “Real Vicenza” di Paolo Rossi arrivò secondo in campionato, contendendo lo scudetto alla Juventus.

L’ accesso europeo, il Vicenza se l’era meritato sul campo, arrivando fino in fondo alla Coppa Italia del 1997, e imponendosi nella doppia finale contro il Napoli, quando ribaltò lo 0 – 1 dell’andata grazie al 3 – 0 della partita di ritorno al Menti, griffato prima da Jimmy Maini, sigillato da Maurizio Rossi (storico il suo gol al 117′ quando si avventò su una corta respinta di Taglialatela) e in ultimo arrotondato da Iannuzzi (promessa non mantenuta del calcio italiano).

A guidare la squadra in panchina, Francesco Guidolin, tecnico che ancora oggi raccoglie applausi nel Nord Est, dove ha dimostrato di saper organizzare un buon calcio, foriero di risultati importanti.
Rinnovata dagli innesti dei giovani del Milan Francesco Coco e Massimo Ambrosini, dei bomber Arturo Di Napoli e Pasquale Luiso e degli esterni Schenardi e Lamberto Zauli, il Vicenza si presentò in Europa come si va ad una festa in maschera: sperando principalmente di divertirsi.

Il debutto in casa, avviene contro i polacchi del Legia Varsavia, una squadra esperta e pericolosa, che però il Vicenza doma agevolmente, con un 2 – 0 interno, ad opera di Luiso e Ambrosetti (altra giovane promessa mai compiuta). Più ostico il ritorno in un ambiente surriscaldato in partenza e tanto più acceso dopo il vantaggio dei polacchi, che solo allo scadere veranno raggiunti da un gol di Lamberto Zauli, trequartista con la fama di essere “lo Zidane della serie B”.
Il vento dell’est accompagna anche la seconda sfida del Vicenza, quella con gli ucraini dello Shaktar Donetsk, all’epoca ancora figura minore sul panorama europeo. Il successo è agevole: 3-1 in Ucraina, con doppietta di Luiso e rete di Beghetto e a seguire un 2-1 interno, ancora con Luiso e con Viviani.

I quarti di finale, contro gli olandesi gialloneri del Roda JC, segnano il punto più alto del crescendo vicentino. Non c’ è partita e il Vicenza di Guidolin, che scende felice sulle fasce come si scorribanda sulle piste in settimana bianca, appiattisce l’avversario con un 4 – 1 esterno (reti di Luiso, Belotti, Zauli e Otero), seguito da un 5 – 0 al Menti (Luiso, Firmani, Mendez, Ambrosetti e Zauli).

Il Vicenza è approdato in semifinale e ora la città sogna. Ma stavolta, l’ostacolo è di primo piano: si tratta del Chelsea “italiano”, che schiera gente come Zola, Di Matteo e Vialli, quest’ultimo nelle vesti di allenatore – giocatore. I Blues stanno ponendo le basi di una grande squadra e sul mercato non hanno risparmiato investimenti. Zola poi, è in un periodo magnifico della sua carriera e a Londra si è guadagnato il nomignolo di “Magic Box”. E invece, nella partita di andata al Menti, la scatola dei trucchi la apre Lamberto Zauli, dopo un quarto d’ora: presa palla sul vertice dell’area di rigore, si produce in stop, dribbling e sinistro all’angolo opposto. Vicenza esplode, l’Italia è incantata. La squadra di Guidolin è tatticamente perfetta, macina gioco e potrebbe raddoppiare, ma è proprio questa mancanza di concretezza che risulterà fatale al Vicenza.

Nella partita di ritorno a Stamford Bridge, le due squadre giocheranno con queste formazioni:
Chelsea: De Goey; Clarke, Duberry, Leboeuf, Le Saux; Morris (M.Hughes 26′ s.t.), Wise, Newton (Charvet 26′ s.t.), Poyet; Vialli, Zola (Myers 37′ s.t.)
Vicenza: Brivio; Mendez, Belotti, Dicara, Viviani (Stovini 16′ s.t.); Schenardi (Otero 37′ s.t.), Di Carlo (Di Napoli 37′ s.t.), Ambrosini, Ambrosetti; Luiso, Zauli.

Londra attende i giocatori berici come un leone attende il suo fiero pasto. Il Chelsea non ammette la sconfitta, men che meno con una piccola squadra senza pantheon.
Eppure, al 32′ il mondo sembra fermarsi, sotto il cielo di Stamford Bridge. E già, perché come avrete notato nei tabellini citati, nel Vicenza gioca un bomber vero, che alla fine sarà capocannoniere del torneo: Pasquale Luiso, detto il Toro di Sora. Coriaceo, un mordente atavico sotto porta ma anche lampi di classe pura, uno così, non poteva sprecare l’occasione di mettersi in mostra sul palcoscenico della storia. La fame di gol di Luiso è tutta racchiusa in una sua frase storica: “Crossatemi una lavatrice e vi colpirò di testa anche quella”. Una sentenza, degna della sua faccia, adatta ad uno spaghetti western italiano.
E quando Lamberto Zauli intravide un corridoio e lanciò nell’area del Chelsea Luiso, al quale si spalancò la visuale di un angolino non coperto da De Goey, il Toro di Sora caricò la rincorsa, vide rosso e tirò, con la sua forza tirò, ed il portiere lo fece passare. Il Vicenza in vantaggio a Londra. Ad un passo dalla finale, che avrebbe opposto un avversario senz’ altro di caratura inferiore al Chelsea.
E qui, il Toro di Sora commise uno di quei peccati che gli Dei non sanno perdonare. Un peccato di “Hýbris” si direbbe nella tragedia greca, di tracotanza, potremmo tradurre noi: Luiso portò l’indice vicino al naso ed imitando un celebre gesto di Batistuta, osò zittire Stamford Bridge. Gli Dei non gradirono.
Tre minuti durò quel sogno, poi iniziò a farsi buio. L’uruguayano Poyet pareggiò i conti, mentre nel secondo tempo, prima la pugnalata di Zola (“quoque tu…”) e poi la zampata del “vecchio” Mark Hughes capovolsero il risultato. Ormai era notte fonda. Al Vicenza rimase il rimpianto per un gol annullato ingiustamente a Luiso, e un’occasione sciupata da Zauli e Di Napoli al 94’. E un’amarezza che oggi, rivista a distanza di anni, sfuma tuttavia nella dolcezza di un ricordo inebriante.

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