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L’adieu di Giuly al calcio: la storia del Principe di Monaco

Domenica 26 maggio 2013, Stade du Moustoir. Al 71′ minuto di FC Lorient – Paris Saint-Germain, tutto il pubblico francese si alza contemporaneamente in piedi. Scrosci di applausi piovono da tutto lo stadio, appena lo speaker chiama il nome del giocatore che sta per uscire dal terreno di gioco. Quel giocatore, che da quel momento in poi non calcherà più l’erba verde del campo, è Ludovic Giuly. I compagni gli vanno vicino per abbracciarlo, lo stesso fanno quelli del PSG, che fino a due anni fa condividevano lo spogliatoio con lui. Ludovic pare non battere ciglio, ma nel profondo è totalmente commosso, perché la Francia lo ama, anche se lui non ha mai potuto ripagare l’affetto dimostratogli con qualcosa di importante da alzare al cielo. Il 26 maggio 2013, Ludovic Giuly decide di smettere di giocare a calcio.

DA LIONE A MONACO – La sua avventura parte nel 1995, tra le file del Lione, la squadra della sua città. Bastano poche partite ai tifosi di casa per capire che quel ragazzino, a soli 18 anni, ha qualcosa fuori dal comune. Lo chiamano “l’Elfo Magico” perché il ragazzino è alto 164 cm. Ma ha le spalle grosse, è veloce e ha soprattutto tanta tecnica. Gli piace la matematica, Michael Jordan ma, ancor di più, la fantasia in campo.Dopo la stagione d’esordio, nella successiva raccoglie 36 presenze e 4 reti. Ma alla terza, Giuly dimostra davvero di essere magico: 37 presenze e 16 reti per l’ala francese. Un bottino davvero niente male a 21 anni. Se ne accorge il Monaco, che decide di acquistarlo per 7 milioni, una cifra molto considerevole all’epoca. Giuly prende subito il timone della squadra che, due anni dopo, riesce a vincere la Ligue 1. Siamo nei primi anni del 2000, alle soglie del Mondiale in Corea e Giappone e per Giuly sembra andare tutto per il meglio. Ma qualcosa si spezza. E per l’esattezza sono i suoi legamenti del ginocchio destro, che lo costringono a rimanere fermo per quasi tutta la stagione 2001-2002, facendogli saltare i tanti sognati Mondiali. Ma Ludovic è forte. E riparte alla grande. La stagione 2002-2003 è solo l’antipasto: 11 reti, la Coppa di Lega in tasca e la convocazione per la Confederations Cup. È però l’anno successivo quello della ribalta.

IL PRINCIPE DI MONACO – La squadra del principato, guidata da Deschamps, è la rivelazione dell’anno. In Champions League è inarrestabile, trascinata, oltre che da Giuly, da giocatori straordinari come Morientes, Prso e Rothen. Demolisce il Deportivo La Coruña per 8-3 nel girone di qualificazione, elimina la Lokomotiv Mosca agli ottavi e si presenta al cospetto del Real Madrid ai quarti. Davanti ai campioni spagnoli però le rêve pare essere già finito, soprattutto dopo il 4-2 del Bernabeu. Ma al Louis II un doppio Giuly (la terza rete di tacco è entrata nella storia della competizione) e Morientes ribaltano il risultato dopo il vantaggio madridista di Raúl. In semifinale il Monaco supera anche il Chelsea del neo magnate Abramovich e riesce a raggiungere la finale di Champions League, gridando al miracolo sportivo. In finale, però, contro il Porto di José Mourinho, il fato si accanisce ancora contro Giuly. Al 23′, infatti, il folletto francese è costretto a uscire per infortunio. Il Porto da quel momento dilaga e segna tre gol, distruggendo i desideri dei monegaschi.

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RIVINCETE CATALANE – Ancora una volta il dolore ferma Giuly. Perché l’infortunio subito in finale di Champions gli fa saltare pure Euro 2004. Ma la vendetta è un piatto che va servito freddo. Laporta sta costruendo un Barcellona stellare e vuole l’asso transalpino con i blaugrana. Giuly, la cui classe sta stretta ormai nel Principato di Monaco, accetta l’offerta a malincuore. A Barcellona, però, è come trovarsi a casa. 11 reti il primo anno, in un tridente esplosivo con Eto’o e Ronaldinho. Liga portata a casa e Champions sfumata in quell’ottavo finale maledetto con il Chelsea. La stagione successiva Giuly la vive un po’ da comprimario, sta nascendo la stella di Messi. Ma la Champions il francese questa volta non se la vuole lasciare scappare, e a San Siro, nella semifinale contro il Milan, brucia mezza difesa rossonera, sfruttando un assist spaziale di Ronaldinho, e buca Dida, portando praticamente i suoi in finale. Finale che si gioca, guarda un po’, proprio a Parigi, in terra francese. Davanti l’Arsenal dell’amico Henry. Giuly gioca tutti i 90 minuti, si vede annullare un gol ma alla fine alza la tanto sospirata “coppa dalle grandi orecchie”. E’ l’ultimo sussulto del nostro campione.


CARRIERA IN DISCESA – Raymond Domenech, per quanto odioso possa essere, non è tipo da scherzi. Figuriamoci se gli tocchi la fidanzata, che di nome fa Estelle Denis. Con lei Giuly ha qualche scambio di SMS, roba da niente. Ma al CT non va giù. Giuly afferma che non sapeva che fosse impegnata con Domenech, sostiene che manco ci ha parlato più. Ma non basta, Ludovic non parte per i Mondiali di Germania. Ennesima delusione e affronto subito. Manca però quello di Messi, che al Barcellona gli ruba il posto e lo condanna alla panchina. Roma sembra essere la meta giusta per rinascere, ma Spalletti lo vede solo come trequartista: a Giuly la posizione non piace e con i giallorossi non gioca quanto sperato. Siamo nel 2008: Giuly decide di tornare in patria: tre anni al PSG (con una Coppa di Francia in bacheca), uno come revival al Monaco, intanto retrocesso in Ligue 2 e quello attuale, l’ultimo, al Lorient. Cinque anni dove raccoglie applausi, tanti, ma poche soddisfazioni.

La verità è che “l’Elfo Magico” poteva fare di più, e lui voleva fare di più. Ma quando il destino ti mette il bastone fra le ruote non c’è nulla da fare. Ludovic Giuly ha comunque illuminato i palcoscenici europei, come pochi altri hanno saputo fare. E il pubblico gliene sarà per sempre grato. Merci Ludovic.