Agostino Di Bartolomei, 19 anni dopo

Anche quest’anno è puntualmente arrivato il 30 maggio. Una data che per la maggior parte delle persone non rappresenta nulla di speciale, ma per gli appassionati di calcio e di sport è una data che fa vibrare i cuori e che non può e non deve passare inosservata. Perchè il 30 maggio di 19 anni fa ci lasciava Agostino Di Bartolomei, storico Capitano della Roma Campione d’Italia nel 1983 e vice campione d’Europa l’anno successivo (giallorossi sconfitti in finale, disputata all’“Olimpico“, ai rigori dal Liverpool), ma che ha scritto pagine importanti anche con il Milan, con il Cesena e, soprattutto, con la Salernitana, che letteralmente trascinò in serie B (dopo 23 anni di serie C) nella stagione 1989-90, la sua ultima stagione da calciatore.

Ci lasciava, punto. E’ inutile continuare a menare il torrone sul perché abbia compiuto quel gesto, quella maledetta giornata nella sua abitazione di San Marco di Castellabate. Sicuramente l’ottusità dei presidenti delle società di calcio di quel periodo, che forse non lo ritenevano degno di coprire un qualsiasi incarico nelle loro squadre (ma sicuramente non erano degni loro di avere Di Bartolomei alle loro dipendenze), ha giocato un ruolo fondamentale. E si potrebbe redigere un’enciclopedia di motivazioni o presunte tali, ma sarebbe un esercizio stucchevole e francamente inutile.

Piuttosto è certamente meglio porsi una domanda: questo calcio, il calcio del 2013, è degno di Agostino Di Bartolomei? E’ degno di poter solo sussurrare il nome di un Uomo che, nella sua personale classifica dei valori, ha sempre messo in primo piano la professionalità, l’amore per il gioco e per lo sport, il rispetto per l’avversario? La risposta è, purtroppo, scontata. Ed è un secco no.

No, questo calcio non è degno di Agostino. E sarebbe facile affermare che tale mancanza di dignità si riscontra nei “campioni” osannati, viziati e strapagati (e qualcuno anche disonesto), nei procuratori assetati di denaro, nei dirigenti che pretendono di organizzare Mondiali ed Europei, mentre forse avrebbero difficoltà anche a stipulare il calendario di un torneo rionale. Ma, come afferma un famoso detto popolare, il “pesce puzza dalla testa“. Questo calcio non degno di Agostino affonda le sue radici in quelle scuole calcio dove la tecnica è relegata in soffitta e si insegna in primis a come tuffarsi in area e nei genitori pronti a incitare il proprio rampollo nello “spaccare le gambe” a quello che, prima di essere un avversario, è un compagno di gioco. Se tali “valori” vengono insegnati da bambini, come si può pretendere che chi arrivi a diventare un calciatore professionista cambi all’improvviso?

Nelle sue giornate dopo il ritiro da calciatore, attendendo una chiamata che non sarebbe mai arrivata, Di Bartolomei buttò giù degli appunti sul calcio che avrebbe voluto.  “Divertiti. Il calcio è allegria”, “Il calcio è un gioco di squadra. Nessuno può vincere una partita da solo. Il successo dipende dall’unione e dall’impegno di tutti”, “Sii sempre leale e non perderti in inutili discussioni”, “Ricordati che il calcio è semplicità”, sono solo alcune delle frasi scritte su quei foglietti che il figlio di Agostino, Luca, ha raccolto facendone diventare un libro intitolato “Il Manuale del Calcio“. E sarebbe cosa buona e giusta che questo libro venisse letto non solo nelle scuole calcio, ma proprio nelle scuole di ogni ordine e grado, perchè prima di essere un libro di sport, è un libro di vita.

19 anni sono passati e ancora il calcio non è degno di Agostino. Lui aveva anche la grande dote della pazienza, sia in campo che nella vita. Ed è una dote che sicuramente non ha perso nel posto dove si trova attualmente. Il mondo del calcio si ricordi che però la pazienza è come l’acqua. Tanta, ma non infinita.