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La Sghimberla del lunedì: gli eroi della Terza Categoria (seconda puntata)

Nella prima puntata vi abbiamo elencato i fantastici supereroi dell’infame Terza Categoria, fino al numero 7. Continuiamo dunque il nostro viaggio all’interno di questo mondo incredibilmente diffuso eppure occulto.

 

Il numero 8. Questo giocatore è il vero geometra della squadra. Egli non scende in campo con l’intento di segnare un gol o di vincere la partita: il suo unico obiettivo è quello di geometrizzare. Fanatico dei temibilissimi passaggi orizzontali (grazie ai quali innesca i più letali contropiede avversari), egli vede di malocchio il lancio lungo e disprezza il dribbling. La caratteristica principale del numero 8 è che i suoi passaggi non servono a niente: eppure, nonostante ciò, questo giocatore è il preferito dell’allenatore, che lo schiera titolare inamovibile in mezzo al campo, inducendo alcuni appassionati a teorizzare l’idea che questo personaggio possegga doti ipnotiche con cui aggira le volontà altrui. Numeri 8 famosi per la propria inutilità, come ad esempio Aron Winter, sono riusciti a utilizzare questi poteri per arrivare a giocare perfino in nazionale.

Il numero 9. Questo giocatore è fondamentalmente il calciatore con i mezzi tecnici più agghiaccianti dell’intera squadra. I suoi piedi hanno la stessa sensibilità dei cerchioni di una Fiat 126, la sua idea di stop consiste nel ricevere il pallone dai centrocampisti e ributtarlo ai propri difensori. Inoltre i suoi tentativi di dribbling si concludono immancabilmente con un rapidissimo contropiede avversario. Particolare tutt’altro che secondario, il numero 9 non ha mai capito cosa sia il fuorigioco. Hanno provato a spiegarglielo per dodici anni, dopodiché si sono arresi. Soltanto sua moglie tenta ogni tanto di inculcargli invano tale concetto, facendo di lui l’unico uomo al mondo che s’è fatto spiegare da una donna la regola del fuorigioco. Eppure il numero 9 ha un’eccezionale arma segreta che padroneggia con maestria e sa dosare con straordinaria efficacia: ha un culo smisurato. Palloni vaganti rimbalzano copiosi sui suoi stinchi finendo casualmente in rete, e i portieri avversari sembrano avere una predilezione per le respinte corte a pochi centimetri dai suoi ignorantissimi piedoni. Questa caratteristica fa alla lunga del numero 9 un sedicente bomber che inizia a sfoggiare completini ridicoli e pettinature anni ’70 per ribadire con le donne il proprio status di maschio alfa, finendo generalmente con l’essere umiliato dal sesso femminile nei modi più disparati.

Il numero 10. Il genio. La fucina dispensatrice di fosforo della squadra. Il numero 10 è storicamente il giocatore più intelligente, razionale e fantasioso della compagnia. Questo accade nel calcio vero: nell’infame Terza Categoria, invece, costui è il fratello dell’allenatore oppure il nipote del presidente. Esiste poi un’ulteriore specie di numero 10 da Terza Categoria: quella del giocoliere. Quest’uomo ha un bagaglio tecnico veramente notevole, grazie al quale è in grado di palleggiare di testa con un’oliva ascolana per sei mesi senza mai fermarsi, di incastrare il pallone fra la chiappa e il tallone e di effettuare tutta una serie di tricks famosi come doppio passo, elastico, rabona, trivela, nonché il famoso tiro rotante di Holly e Benji che lascia dietro il pallone una scia di zolfo infuocato. Questo in allenamento. Perché durante la partita il numero 10 ostenta caratteristiche che lo rendono assolutamente inutile. Costui teme infatti la sola ipotesi dello scontro fisico, cosa che lo spinge a liberarsi del pallone ogni qual volta un avversario gravita a meno di due metri di distanza dalle sue caviglie. Quando il numero 10 s’avventura nelle vicinanze del numero 2 avversario, egli si rompe un osso a caso sulla fiducia e cade a terra svenuto prima ancora che fra i giocatori sia avvenuto qualsiasi tipo di contatto. Un’altra caratteristica fondamentale del numero 10 è la sua evidente metrosessualità, che lo rende l’oggetto di scherno di tutto lo spogliatoio. Costui infatti reputa bracciali, collanine, nastri adesivi, laccetti, forcine, gel per capelli e oli abbronzanti accessori indispensabili per il suo ingresso in campo, al pari dei pantaloncini e delle scarpe, e la sua borsa, più che a quella di un calciatore, assomiglia a quella di un rappresentante della l’Oréal.

Il numero 11. Quest’uomo è il martire della squadra. Il numero 11 sarebbe dotato effettivamente di piedi buoni e corsa decente, ma i suoi numerosi acciacchi lo costringono a un costante “vorrei ma non posso” che alla lunga lo porta a condividere l’aberrante scarsezza del resto della squadra. Mancino, dignitosamente elegante, è l’unico uomo della compagine che in vita propria abbia mai saltato un avversario col pallone. Il suo vero problema è quello di condividere la stessa fetta di terreno del numero 2 avversario. In tale situazione, il povero numero 11 ha le stesse speranze di uscire integro dal campo di quante ne ha il pacchetto di cracker infilato dalla mamma nello zaino dello scolaro. Per questo e altri motivi la carriera del numero 11 si svolge principalmente tra farmacie e reparti di ortopedia, e soltanto di rado egli si fa rivedere agli allenamenti, sussurrando con un filo di voce: “Tranquilli, sono quasi a posto”.

Il numero 12. Questo personaggio mitologico incarna lo spirito del vero eroe dello sport. Egli è infatti il portiere di riserva della squadra, l’uomo che entrerà in campo solo se il portiere titolare si frattura un braccio, eventualità che si ripete con la stessa frequenza della Cometa di Halley. La carriera del numero 12 si sviluppa fondamentalmente in tre fasi. Inizialmente costui cova l’ambizione di imparare dal più quotato collega e di diventare più forte di lui per guadagnarsi il posto in squadra. Quando, dopo otto anni di panchina, il numero 12 si rende conto che è impossibile scalzare il portiere titolare dal centro della porta, egli passa alla seconda fase. Durante questo stadio il soggetto impara le più letali tecniche vudù e passa giornate intere a infilare aghi avvelenati all’interno di pupazzetti di marzapane con le fattezze del portiere titolare. Dopo avergli riempito di lassativo la borraccia, infilato quintali di sanguisughe negli scarpini, pisciato nello shampoo e costretto i propri amici a corteggiarne la moglie (che generalmente è un cesso epocale), il numero 12 si arrende all’evidente immortalità del collega e passa alla terza fase, quella dell’accettazione. È qui che i numeri 12 diventano gli eroi mitologici del calcio. Passeranno domeniche intere, fermi al centro della panchina con undici gradi sottozero, senza alcuna speranza di giocare, e tutto questo GRATIS.

Il numero 13. Questo soggetto è in genere il primo giocatore che l’allenatore tiene in considerazione per sostituire quelli che il numero 2 avversario spedisce in rianimazione. La sua caratteristica è quella di non avere ruolo o posizione preferita: egli è infatti costretto a entrare in campo alla rinfusa, senza riscaldamento e senza alcuna indicazione da parte del mister. La sua concentrazione, dunque, dev’essere altissima nel capire chi fosse e cosa effettivamente facesse in campo colui che s’è fatto male. Dato che nell’85% dei casi a venire sostituito è il povero numero 11, il numero 13 sviluppa col passare degli anni una certa propensione a schierarsi come ala sinistra. Propensione che gli costa immancabilmente devastanti figure da imbecille ogni qual volta deve sostituire qualcun altro.

Il numero 14. Quest’uomo ha una caratteristica che lo rende molto dissimile da tutti i suoi compagni. Egli, infatti, non ha nessun interesse nei confronti del calcio. Ama invece la goliardia, adora fare sempre baldoria ed è capace di organizzare scherzi epici e cattivissimi che terminano immancabilmente con una frattura per il povero numero 11, anche quando quest’ultimo non era il destinatario designato dello scherzo. Generalmente non c’è pericolo che il numero 14 venga schierato in campo, ma se ciò accade egli sbuffa, polemizza e tenta in tutti i modi di simulare un attacco di diarrea. Ma il numero 14 non è uno che odia lo sport. Il suo vero amore, infatti, è il ciclismo, solo che per fare quello occorre sbattersi sul serio.

L’allenatore della squadra. Serio, severo e perennemente incazzato, il mister è l’uomo che dispensa consigli tattici e proverbi illuminanti. Costui non ha un modulo preferito, in quanto nell’infame Terza Categoria non esistono schemi diversi dal classico 4-4-2, e ogni personaggio che abbia mai tentato di apportare novità tattiche in questa serie è stato giustiziato dai tifosi dopo poche ore. Caratteristica fondamentale di ogni allenatore è la severità con cui durante gli allenamenti egli relega la “partitella” agli ultimi tre minuti prima dello spegnimento dei riflettori, raccogliendo i muti insulti e i gestacci occulti di tutti i giocatori. L’allenatore, infatti, ha una strana e morbosa predilezione per uno schema di cui nessuno ha mai compreso l’effettiva utilità: la treccia. Costui costringe tutta la squadra a massacranti sedute di ore consecutive di stupidissime trecce che durante la partita non verranno mai messe in pratica. Dopo anni di questo trattamento, il 90% dei giocatori sa acconciare con straordinaria maestria i capelli delle proprie figliolette, ma in compenso non ha la minima idea di come si effettui un passaggio.

Il presidente della squadra. Cinquantenne, terribilmente obeso e allergico alla sola idea del calzino, quest’uomo è colui che caccia i soldi dell’iscrizione. In cambio di questi sudaticci e stropicciatissimi 100 euro, egli costringe i propri giocatori a entrare in campo con magliette ornate di slogan allucinanti, del tipo “Macelleria Scannapieco: i salsicci più buoni del Molise”, oppure “Ferramenta da Giorgione: trovi il dado, la brugola e il bullone”. Il presidente della squadra non si perde un allenamento nemmeno se ha 41 di febbre e sta boccheggiando in preda alle allucinazioni. Egli è sempre placidamente seduto sulla panchina ad appestare l’aria con sigari di dubbia provenienza e dal sapore fognario. E il suo cavallo di battaglia consiste nel proferire, quando uno qualsiasi dei suoi giocatori effettua una minchiata, terrificanti bestemmie grazie alle quali il cielo si oscura e piove anche ad agosto.

Vi abbiamo così elencato tutti gli eroi dell’infame Terza Categoria. È gente dura, avvezza alla reale dimensione spartana dello sport, che non ama i fighettismi (tranne un po’ il numero 10) e che in definitiva non scende in campo per fornire uno spettacolo, ma solo perché il calcio è più bello farlo che guardarlo in televisione.

Ma è gente che in serie A ci giocherebbe anche gratis. Gente che i tifosi li onora veramente e che una partita non se la venderebbe mai, nemmeno in cambio di milioni. A questa gente io dedico questo mio pezzo ironico e un po’ surreale. Viva la Terza Categoria!