Esclusiva Mp – Riccardo Prete: “Vi spiego le difficoltà del mio mestiere, in futuro spero che il Molise…”

Il dottor Prete, agente di calciatori da un anno ormai, ha analizzato la situazione della sua regione d’appartenenza, il Molise e, inoltre, sottolineato il problema del suo mestiere, tra pregi e difetti. Dovesse elogiare un modo di far calcio? L’Udinese.

Buongiorno dottor Prete. Lei vive a stretto contatto con la sua terra d’origine, qual è il Molise. Dal punto di vista calcistico non è sicuramente una regione ricca di società professionistiche. Ci fa una panoramica dell’attuale situazione nella sua zona di competenza?
Il Molise, ahimè, dopo i tempi d’oro del Campobasso (attualmente in Lega Pro seconda divisione) in serie B non è più riuscito a ripetere l’exploit. Purtroppo, nonostante gli apprezzabilissimi tentativi di imprenditori e amanti del calcio, ogni anno – salvo rare eccezioni – i vertici societari si creano e poi si devono rifare daccapo. Una isola felice appare l’Agnonese che milita nel campionato di serie D: in questo paesino la programmazione sembra essere la parola d’ordine. Restando in ambito dilettantistico nazionale, quest’anno il Termoli ha fatto una grande stagione arrivando fino ai playoff, poi c’è appunto l’Agnonese e quindi l’Isernia che però ha fatto un campionato di medio-bassa classifica. Scendendo di categoria, in Eccellenza c’è una squadra che farà parlare di sé: il Fornelli. La società è molto ambiziosa e presto potremmo vederla in serie più ‘consone’. Mi lasci tuttavia fare una citazione speciale per l’allenatore – anche se noi agenti non ci occupiamo dei mister – di una squadra ‘minore’ (prima categoria) che sta lottando per la Promozione: il Pesche, un team di un piccolo paese guidato però da un giovane allenatore non ancora 30enne, Fabio Di Rienzo, che i dirigenti delle giovanili delle cosiddette grandi società dovrebbero segnare sui loro taccuini. Il miracolo sportivo che è riuscito a compiere quest’anno resterà nella storia… ne sentiremo parlare, mi creda.

Segue i campionati “giovanili” ma non disdegna i campionati come Eccellenza o serie D. Ci sono giovani interessanti?
Giovani interessanti ce ne sono ad ogni latitudine e in ogni campionato o categoria. Ma io sono convinto che senza una solida ‘struttura’ alle spalle un giovane interessante sia destinato a rimanere tale, o forse peggio, a perdersi. Dalle nostre parti, senza voler fare i nomi, ci sono ragazzi potenzialmente forti, tuttavia difficilmente riescono ad emergere in Molise poiché le società non li tutelano abbastanza. Le prime squadre puntano a vincere sempre e comunque; dunque sono rari i casi di team che portano i giovani tra i ‘grandi’ per farli crescere. Questi, pertanto, rischiano per finire schiacciati. Al precoce passaggio in prima squadra io preferisco una trafila nelle giovanili di serie.

Preferisce il calcio di periferia, o quello dei cosiddetti “quartieri alti”?
Il calcio di periferia è, o meglio dovrebbe essere, quello più genuino; dove poter in un certo senso,  sperimentare. In periferia può permetterti, almeno teoricamente, qualche passo falso. Nei quartieri alti, no. Bisogna essere pronti, tecnicamente, professionalmente ed umanamente per stare nei quartieri alti altrimenti si rischia di finire irrimediabilmente ‘bruciati’. Diciamo che è preferibile la periferia per farsi le ossa e poi i quartieri alti per godere.

Cosa l’ha spinta a diventare procuratore? E, inoltre, cosa le piace di questo mestiere?
Procuratore lo sono diventato per un ‘semplice’ motivo: sono molto appassionato di calcio e credo di conoscerlo un po’; inoltre ritengo, anzi di questo sono sicuro, di essere molto più bravo a tutelare gli interessi degli altri che i miei… Fare uno più uno è stato facile, poi la figura dell’agente mi piace molto, io la unisco spesso a quella di talent scout. Andare sui campi a scovare potenziali talenti e poi aiutarli a fare carriera è un’aspirazione grandissima che, sono sicuro, alla fine se tutto va bene ripaga alla grande degli immensi sforzi compiuti. Fare il procuratore consente poi di conoscere moltissime persone, dirigenti, calciatori, familiari di calciatori, colleghi.

Ci saranno anche aspetti negativi…
Io sono molto giovane, più che anagraficamente come iscrizione all’albo (2012), ma ho già appreso i tanti, troppi aspetti negativi: è un discorso lungo ma ad esempio alcune regole andrebbero riviste alla radice perché provocano disparità e producono dispersione di risorse e fatica immane. L’aspetto più negativo però è sicuramente il grande lavoro che bisogna fare per superare l’eccessiva diffidenza che alcune società nutrono verso la figura dell’agente: non tutti comprendono che il procuratore oltre che i calciatori, aiuta anche le società. Non bisogna infine dimenticare sotterfugi, dispetti e altro che colleghi riservano ad altri colleghi… Insomma, non è un mondo tutto ‘rose e fiori’.

Da quale realtà bisognerebbe prendere spunto, al giorno d’oggi, per fare calcio a “basso costo”?
Per basso costo bisogna capire cosa si intende. Ad alti livelli gli esempi più clamorosi sono quelli dell’Udinese e, recentemente, del Borussia Dortmund. Io, però, in realtà preferirei che le società dessero maggiore fiducia e spazio ai giovani italiani. Fare calcio a basso costo si può, anche avendo una fitta rete di osservatori che dai campionati minori segnalano potenziali campioni da rivendere una volta in via di maturazione. Ma il ‘gioco’ non sempre e non a tutti riesce. Poi bisogna anche vedere quali obiettivi ci si propone. Lo dico contro gli interessi della categoria, ma secondo me andrebbe fatta una seria ‘riforma’ del sistema per tutelare ancora di più chi tutela – mi perdoni il gioco di parole – i giovani provenienti dai vivai. Spesso si assiste a società che vanno alla ricerca del giovane fenomeno sudamericano o giapponese o africano e magari non si accorgono che in casa hanno un ragazzo di pari se non di superiore valore. Sono consapevole, però, che questo avviene anche perché i vivai italiani non sempre sono attrezzati per sfornare campioni. Dunque, per fare calcio a basso costo che apporti benefici e faccia crescere tutto il movimento c’è bisogno di investire sui settori giovanili e cambiare sistema. Mi auguro che la crisi economica porti i dirigenti a questa riflessione.

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Antonio Paviglianiti