Muoia Pallone con tutti i Piagnistei

Otto bambini giocano nel campetto dell’oratorio. È un quattro contro quattro all’ultimo sangue, come tutti i pomeriggi accade sotto l’ombra del campanile. Il campo è enorme: ci fanno i campionati di calcio a sette e i cinquantenni brizzolati si lamentano perché le fasce sono troppo larghe per i loro polmoni incrostati di catrame Philip Morris. Ma quando hai meno di undici anni nessun campo è troppo grande: gli otto piccoli eroi impegnati nella sfida potrebbero utilizzare anche un parcheggio vuoto dell’Ikea e non avrebbero comunque nulla da obiettare.

A un tratto il ragazzino più alto riceve un bel pallone sulla destra. Salta un difensore, anzi IL difensore, e si presenta solo davanti a una porta smisurata. Non c’è la rete, soltanto due pali e una traversa arrugginiti a contenere un portiere di otto anni coi capelli pieni di sabbia e l’apparecchio per i denti. Il ragazzino tira con tutta la forza che ha, il portiere preferisce pararsi la testa anziché il pallone. Sono scelte rispettabili. Intanto è gol, ma qualcuno si lamenta.

“Non vale sbordare!”.

“Sì che vale. Uno a zero!”.

“Va bene, tanto adesso pareggiamo!”.

Mi sveglio, cerco la radiosveglia: le 3.40. Che razza di sogni: col cinese a mezzanotte, giuro, ho chiuso. Mi riaddormento con quel classico sapore di involtino primavera che tenta disperatamente di risalire l’apparato gastrico, forse sperando di tornare in qualche modo dentro al piatto.

Il sogno è lo stesso, solo che stavolta i ragazzini sono calciatori adulti. Il campetto dell’oratorio è uno stadio pieno di persone. C’è l’arbitro, il guardalinee, le reti nelle porte, sbordare vale e i difensori sono come un esercito schierato. C’è anche la polemica, ma quella stavolta non si esaurisce in tre frasi. Anzi, a un certo punto non c’è più nessuno che gioca col pallone. Parlano tutti, e ognuno si lamenta di qualcosa.

C’è un tizio in bianco e nero che mulina le braccia e sgrana le pupille. Ha due begli occhi azzurri, la voce graffiata come Monica Vitti dopo un concerto rock, e uno strano soriano bruno sventola al posto della chioma. Penso che si lamenti del freddo clima di questo maggio infame: “Agghiaggiante!”, continua a ripetere. Alle sue spalle strani figuri, tutti in bianconero, urlano come bestie. “Ventinove!” “Trentuno!”. Si azzuffano, non si capisce più niente. Spero che trovino un accordo e la chiudano a trenta, come sicuramente accadrebbe all’interno di un bazar.

Mi muovo altrove, alla ricerca dell’uscita, ma tutto ciò che trovo è un vecchio e ricco signore coi denti giallo zafferano, l’accento milanese e la giacca nera e azzurra. Stringiamo un tacito accordo, dato che anche lui cerca l’uscita. Da anni, sembra, a vedere la sua faccia.

C’è un vigile con la scritta Bergonzi sul colletto e un bel giubbotto catarifrangente. Ci dice gentilmente che si esce verso destra. Ringraziamo, ma quando se ne va, il ricco milanese si fionda dall’altra parte.

“Dove va?”
“Quella gente è in malafede. Non le creda. Io faccio il contrario: è tutto un magnamagna. Io sono per la legalità, ma qui il più pulito ha la rogna”.

È talmente agitato che mentre se ne va perde dalla tasca una scheda telefonica già grattata e un passaporto con la faccia di Recoba. Lo raccolgo, ma il sogno lo trasforma in un microfono di Sky. Nemmeno il tempo di capire come, e mi ritrovo di fronte Rowan Atkinson.

“Mister Bean! Mi fai morire dal ridere, lo sai?”

Lui non sembra apprezzare il complimento. Sbuffa sul microfono e attacca una vera litania.

“Avevamo un punto dalla Juve, poi se so’ rotti tutti. Nel 3-0 che ‘amo beccato a Udine c’era un rigore su Palacio. Sì, era partito ‘n fuoriggioco netto, ma il rigore c’era. L’arbitri so’ preda de sudditanza nei confronti dell’Atalanta. Io so’ bravo, eh, tanta robba, ma così nun se po’”.

Il microfono non me lo ridà più indietro. Glielo lascio e sgattaiolo altrove: lui continua a lamentarsi come se niente fosse. Devo assolutamente andarmene da questo posto, penso, mentre dinnanzi a me spunta un grosso tizio pelato con la maglia rossa e nera. Ha i lobi degli orecchi assurdamente grandi ed è brutto da Star Male (avevo intenzione di scrivere Star Trek, ma alla fine non ce l’ho fatta). Questo, per fortuna, non ha niente di cui lamentarsi. I vigili gli portano doni in continuazione, in riverente e ieratico silenzio, ma a un certo punto Star Trek sbotta e tira un calcio ai pacchi regalo. E misteriosamente diventa scuro di carnagione, anzi proprio nero.

“Basta con questo becero razzismo! Se accade ancora ritiro la squadra, mi porto via il pallone e gli buco pure le ruote del suv”.

Cerco gentilmente di fargli capire che il razzismo non si combatte dando a mille idioti la possibilità di scegliere se far sospendere o meno una partita. Che su ottantamila persone è normale che qualche centinaio sia diversamente cerebrato, e l’indifferenza è la risposta giusta. Che un calciatore che guadagna 10 milioni annui per fare cose che chiunque svolgerebbe anche gratis può pure accettare qualche “buuu” ogni tanto senza fare scenate da psicodramma. Che il razzismo c’è da sempre, è ignoranza, e l’ignoranza non si combatte scappando dagli ignoranti, ma insegnando la cultura. Però è tutto inutile. Galliani negro si arrabbia ancora di più, mulina l’indice destro e in pochi istanti mi trovo a dover scappare da un branco di dobermann con le facce di Crudeli e Pellegatti.

Ora il sogno è più chiaro, ma la situazione precipita. Della Valle si lamenta perché la sua Fiorentina a palazzo è scomoda. Forse la rifarà con la tomaia in cuoio e i buchini traspiranti sulle suole. De Laurentiis inventa neologismi che è meglio non raccontare. Anche il Napoli secondo lui è scomodo a Palazzo. Me lo segno: dovessi finire in questo tanto cantato palazzo eviterò a tutti i costi di sedermi. C’è Zanetti che sostiene di pagare perché all’Inter sono diversi. Bonolis dichiara che il Milan è aiutato e sta falsando la Serie A. “Avanti il prossimo!”, urla Zamparini, e poi tira un’asciata in testa al candidato.

Mi sveglio col cuore a mille e il pigiama fradicio di sudore. La radiosveglia dice: 5.41. Due ore per concepire un sogno così insulso e assolutamente privo di sostanza. Per fortuna, domani torna il campionato. Per fortuna, il vero Calcio è un’altra cosa.

 

Published by
Gaetano Allegra