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La Sghimberla del lunedì: gli eroi della Terza Categoria

Il calcio, questo sport sublime, non è soltanto un pallone da serie A. Ma è invece un enorme gomitolo che srotola la sua infinita giustizia anche e soprattutto in luoghi che nemmeno si pensa possano esistere. Che ci crediate o no, infatti, esistono le serie minori, il dilettantismo e infine un teatro macabro e oscuro chiamato Terza Categoria.

Questo posto infame è più che altro un girone dantesco in cui i peccatori sono costretti a correre seminudi in mezzo al fango, picchiandosi come fabbri per un’ora e mezza a settimana, più il classico recupero di venti minuti per tempo concesso da un fac-simile di arbitro che, oltre ad avere il carisma di un poster di Don Mazzi, generalmente non possiede un orologio.

Ebbene, vi posso assicurare che questa Terza Categoria non solo esiste, ma è addirittura il palcoscenico calcistico più vegeto in assoluto. Un dovere, un mondo a parte, la miniera di carbone da cui ha origine il vero spirito del calcio, senza fighettismi, intrallazzi o ingaggi stellari. Solo undici malati che rinunciano alle ciabatte, accettando in cambio di essere presi a calci da altri malati, ridicolizzati da passanti, spanchinati da allenatori che in allenamento impongono tre ore di inutili trecce e poi confondono il fuorigioco col fallo laterale. E tutto solo per poter gridare una volta, una sola volta in un’intera stagione: “GOL!”. In altre parole: la Terza Categoria è lo SPORT.

Tanto che, alla fine, come ogni must che si rispetti, è riuscita a creare i propri cliché. E noi ve li proponiamo tutti, uno dopo l’altro, rigorosamente in ordine numerico, perché in fondo, anche se fate finta di non conoscerlo, questo luogo infernale prima o poi l’avete sfiorato tutti quanti.

Il numero 1. Il portiere. Questo soggetto ha generalmente un’età compresa fra i 50 e i 70 anni e il suo peso si aggira intorno al quintale, ma nonostante tutto mantiene un’agilità sovrannaturale che gli permette di sollevarsi da terra (col vento a favore), anche di 5-10 centimetri. Il vero problema del portiere da Terza Categoria risiede nel fatto che l’equilibrio calcistico, in questo girone infernale, non è contemplato nemmeno per sbaglio. Il risultato tipico di una partita è il classico 12-0: per cui se il portiere si trova nella squadra sbagliata non potrà fare altro che guardare avversari arrivare col pallone da tutte le parti. In genere, dopo una ventina di partite, il portiere s’è chinato così tante volte a raccogliere la palla nella propria porta che un’ernia fulminante lo costringe sulla sedia a dondolo per il resto della carriera. Ma il povero eroe si consoli: il portiere della squadra avversaria, quella che vince 12-0, è ancora più sfortunato. Sono sei anni che non muove un dito, e ormai ha quasi deciso di drogarsi.

Il numero 2. Arrabbiato, stempiato, convinto elettore di estrema destra, il numero 2 ha per hobby due tipi di collezioni. Quella di cartellini e quella di tibie. Nel suo piccolo, quest’uomo è un artista del contrasto, tanto che col passare degli anni affina anche la capacità di intonare lo schiocco delle ossa avversarie col suo classico e immancabile urlo da tackle. Dicono che il calcio faccia bene alle ossa. Ciò non accade se il vostro marcatore è il numero 2.

Il numero 3. Questo soggetto è generalmente un potenziale fantasista, che per qualche tara irreparabile ha dovuto accontentarsi di essere retrocesso a infame terzinaccio. Mancino, elegante e dal fisico aggraziato, il numero 3 non condivide le tecniche del collega di reparto e preferisce invece affidarsi alla nobile arte dell’entrata pulita. E ci riesce, perfino: ne sbaglia al massimo una o due a partita, che però costano immancabilmente il gol.

Il numero 4. Quest’uomo è l’anima della squadra, il motore del centrocampo, l’oscuro stantuffo che tutto fa e tutto distrugge. Le sue capacità tecniche sono generalmente raccapriccianti, ma ha un cuore enorme e se lo fa bastare. Di solito il numero 4 ha una statura che solo in rari casi raggiunge il metro e sessanta, ed è dotato di un baricentro talmente basso che quando corre emette inquietanti scintille per colpa del contatto fra il terreno e i pantaloncini di tessuto acrilico. Il suo pezzo forte è la cannonata alla cieca da fuori area: quando il numero 4 vede un pallone rotolare verso di sé a 20-25 metri dalla porta, egli incassa la testa nelle spalle, chiude gli occhi e carica come un toro furioso. Generalmente l’impatto col pallone è devastante per le finestre degli appartamenti che circondano il campetto, ma può accadere durante una stagione che il soggetto azzecchi il siluro e piazzi l’eurogol bucando la rete come nei cartoni giapponesi.

Il numero 5. Sebbene nel calcio che conta la figura dello stopper si sia estinta da una ventina d’anni, nella macabra Terza Categoria ciò non è ancora accaduto, e così il simpatico numero 5 è un fiero esponente dello stopperismo che ha la casa tappezzata di poster di Ricky Ferri e Comunardo Niccolai. Con questi ultimi, a cui egli s’ispira, condivide soprattutto la clamorosa propensione all’autorete, di cui il numero 5 è un vero e proprio maestro. Riesce ad autosegnare da ogni posizione. Di tacco, di testa, di rimbalzo, di sponda con pallino in buca d’angolo. Il suo è un masochismo d’autore che, quando si è già sul 7-0 per gli avversari, in genere non fa altro che regalare ilarità, donando così a quest’uomo anche un alone vagamente filantropico.

Il numero 6. Grassottello, ben tornito e dal sedere incredibilmente basso, il numero 6 è l’ultimo baluardo difensivo, nonché quasi sempre il capitano della squadra. Rispetto ai suoi compagni, costui ha dalla propria il palmares: quando era giovane ha giocato 25 minuti in una semisconosciuta squadra di una semifantomatica serie semiprofessionistica, e anche se il suo ingresso in campo era dovuto a un’epidemia di vaiolo scoppiata nello spogliatoio la settimana precedente, il suo curriculum suscita stima e deferenza. La tipica caratteristica del numero 6 è il costante tentativo di tenere sotto controllo la linea difensiva, senza rendersi conto che nell’infame Terza Categoria il reparto arretrato non è composto dalla classica linea retta, ma da una sorta di grumo casuale che un Euclide qualsiasi avrebbe definito scientificamente con la parola “Boh!”. I suoi vani sforzi di tenere in riga i compagni di reparto e ancora peggio di muoverli all’unisono per innescare il fuorigioco indeboliscono anno dopo anno la sua pur robusta psiche, tanto che il numero 6 appende relativamente presto le scarpette al chiodo.

Il numero 7. Quest’uomo ha una caratteristica molto ben definita, che lo rende una pedina importante dello scacchiere del mister: è veloce come un lampo. Generalmente, nell’infame Terza Categoria, per essere veloci occorre fare i 100 metri in meno di 25 secondi e senza ambulanza, e lui rientra perfettamente nel suddetto novero. La tecnica calcistica del numero 7 è assai modesta: per controllare il pallone si limita a lanciarlo in avanti a caso e poi sfoderare la propria corsa per andarlo a recuperare, ma soprattutto non ha la minima idea di come si effettui un cross, cosa che gli impone goffe svirgolate che in genere fanno incazzare a morte l’allenatore. E soprattutto fanno incazzare il custode, il quale è costretto a lunghe camminate fra stambecchi e caprioli pur di recuperare i palloni scomparsi.

Volete sapere tutto sul geometrico numero 8, sul fantasioso numero 10, sull’eroico 12 e sull’allenatore della squadra? Seguiteci lunedì prossimo nella SECONDA (e ultima) PUNTATA!