La Sghimberla del lunedì: gli otto tipi di allenatore
Appassionati, fanatici, perennemente incazzati o finti glaciali, quegli strani omini che vediamo dimenarsi come in preda a crisi epilettiche a bordo campo sono coloro i quali hanno tutta la colpa di ogni sconfitta e uno scarso 5% di merito quando la squadra vince. Ma prendono così tanti soldi che di questa ingiustizia in genere se ne fregano. Sissignori, sono loro: sono gli allenatori. Abbiamo selezionato per voi gli 8 cliché più evidenti di allenatori che possiamo trovare in giro per i campi di Serie A (e non solo), e abbiamo deciso di proporveli all’interno di una nuova rubrica settimanale: la Sghimberla.
Lo facevamo da piccoli, quando ci sembrava di essere divertentissimi nel rispondere a nostra madre infuriata che “basta è la moglie del basto?”. Ebbene sì: la Sghimberla è la moglie dello Sghimberlo. Lui va allo stadio e vi racconta la partita in diretta, lei rimane a casa a riflettere sul calcio e ve lo riporta staticamente. A prima vista: una famiglia che non può durare…
1. Il fanatico
Questo tipo di allenatore ha poche certezze, ma quelle che ha sono incrollabili. Preferirebbe farsi sei mesi in carcere con Aronica come compagno di cella, piuttosto che modificare anche solo leggermente il proprio modulo preferito. Sul campo, il fanatico può beccare sei gol in dieci minuti e non fare una piega, ma s’incazza se il suo terzino si trova dodici centimetri più avanti sul calcio d’avvio, mortificando così la linea millimetrica che cura grazie a un cognato perennemente piazzato su un elicottero con una telecamera e un sestante.
Generalmente la carriera del fanatico termina molto presto, ma lui non si perde d’animo e s’intrufola in ogni genere di trasmissione sportiva pur di rendere noto ai telespettatori che non comprerebbe Messi perché “non sa fluidificare”.
2. L’incazzoso
L’incazzoso passa i tre quarti della partita con un piede in campo e l’altro puntato verso il sedere del quarto uomo. Il suo colorito medio si aggira fra il rosso carminio e l’arancione, e il suo impatto educativo sui giovani è pari a quello di un’orda di Unni a una festa di gala in casa di Montezemolo. Durante la gara strangola i panchinari meno utili con la cravatta, manda fiumi di corna alla panchina avversaria e si rivolge ai propri giocatori come un camionista al casello che si è appena mangiato il resto.
L’incazzoso generalmente passa più tempo in tribuna che in panchina, ciò nonostante i tifosi spesso lo adorano. Un po’ perché ha la tempra, un po’ perché anche gli ultras ne hanno paura.
3. Il glaciale
Apparentemente, il glaciale è l’esatto opposto dell’incazzoso. In campo la sua condotta è esemplare, nelle interviste non manca di fare i complimenti all’avversario ed è in grado di sorridere anche quando il suo portiere mette in porta per errore un calcio di rinvio colpendo la palla di tacco (generalmente se il portiere è Buffon quest’ultima eventualità non accade, ma se come me tifate per squadre come il Messina sono eventi da mettere in conto durante la stagione).
In ogni caso, per sfogare le tonnellate di rabbia repressa che accumula col suo atteggiamento, di solito il glaciale nasconde un hobby violento come tagliare la testa ai nani da giardino, organizzare rave clandestini travestito da naziskin assieme a Stefano Bizzotto oppure riempire di botte Ljajic.
4. Il guru
Il guru è solitamente un allenatore che in vita propria non ha mai vinto una coppa nemmeno nelle tournée estive contro le giovanili lituane, ma nonostante questo viene considerato un visionario da tifosi e giornalisti. Utilizza moduli estremi, tipo il 2-3-5 oppure il 5-4-2 col portiere spostato davanti alla difesa, che in genere funzionano per le prime tre o quattro giornate, salvo poi cominciare a collezionare batoste a ripetizione alle quali il guru risponde con oscuri proverbi zen che mandano in sollucchero i tifosi.
Arriva in genere un momento in cui, dopo sedici retrocessioni consecutive, l’abilità tattica del guru viene messa lievemente in discussione da una frangia di tifosi, i quali solitamente vengono emarginati dal resto della tifoseria con l’accusa di “non capire niente di calcio”.
5. Il dottor morte
Questo genere di allenatore viene evocato tramite un antico rituale solamente quando la squadra è ormai spacciata, anche se la matematica ancora non la condanna. Il dottor morte ha una smorfia perennemente rassegnata in volto, come il medico che sta visitando un centosettantunenne farcito di metastasi, ma si prodiga a dispensare ottimismo nelle interviste, elogiando la qualità della rosa nonostante i 24 punti di distacco dalla penultima in classifica.
Eutanasisti famosi come Nedo Sonetti e Alberto Malesani sono stati a volte in grado perfino di vincere qualche partita, ma questo generalmente non fa che allungare l’agonia.
La caratteristica fondamentale di questi allenatori, in ogni caso, è quella di essere sempre molto calmi e rilassati. Possono infatti disporre di dieci mesi di vacanza l’anno, dato che in carriera non hanno mai occupato una panchina prima di marzo-aprile.
6. Il querulo
Il querulo nasce, cresce e muore ricoperto di uno spesso strato di sfiga che lui stesso s’è disegnato tutt’intorno. Quando perde una partita, appare in conferenza stampa soltanto per elencare i torti subìti che ne hanno decretato la sconfitta. Anche dopo una disfatta per 7-0 è in grado di lamentarsi perché il rigore del 4-0 andava ripetuto, perché i seggiolini degli spogliatoi fanno venire la scoliosi agli attaccanti e perché risulta sospetto il fatto che troppi giocatori della squadra avversaria si chiamino Piero.
Quando il querulo vince, generalmente non commenta la gara e preferisce invece lamentarsi delle sconfitte precedenti.
Di solito, dopo qualche anno di carriera, grazie a questo atteggiamento il querulo assume anche doti iettatorie che portano tutti i suoi giocatori a infortunarsi, oppure a praticare gli allenamenti con entrambe le mani infilate nei pantaloncini. Ma spesso i queruli rimangono a lungo sulla panchina, nonostante gli scarsi risultati, o perché il presidente ne ha pena oppure perché non ritiene di possedere amuleti abbastanza potenti per sopravvivere a un loro esonero.
7. Il distruttore
Questo temibilissimo allenatore ha una simpatica caratteristica. Il suo curriculum fa schifo. Su qualsiasi panchina abbia posato le natiche, infatti, ha collezionato esoneri e retrocessioni. Il distruttore è una sorta di re Mida con una lievissima variante: qualsiasi cosa tocchi, questa va in frantumi.
Squadre rodate e costruite per vincere si smembrano alla sua guida come wafer alla nocciola, giocatori dal radioso futuro o dal lodevole passato diventano seghe immani al solo contatto con i suoi schemi, e generalmente entrano in un tunnel d’incapacità dal quale non riusciranno mai più a venir fuori.
Eppure, anche se la scienza non è ancora riuscita a spiegarne il motivo, il distruttore trova sempre una panchina libera, decretando la morte sicura della società che l’ha assunto e accelerando così il processo di selezione artificiale che serve al calcio per rinnovarsi di continuo.
8. L’ironman
L’ironman è generalmente un ex calciatore che pur avendo due piedi sensibili come incudini medievali ha raggiunto buoni risultati grazie all’abnegazione, al cuore e ai polmoni. Non ha alcuna idea tattica, né tantomeno sa cosa significhi il bel gioco, ma è un motivatore eccezionale e inculca nei suoi giocatori la classica mentalità del tipo: se non ci sono state almeno due espulsioni abbiamo fatto una partita opaca.
L’ironman è fissato soprattutto con il lato atletico della questione, e i suoi allenamenti in genere sono simili a quelli dei soldati americani durante la Guerra del Vietnam. Questo fa sì che il presidente debba fornirgli durante il ritiro pre-campionato una rosa di 60-80 giocatori, la quale verrà sfoltita nei giorni successivi tramite un’agghiacciante selezione naturale. I 18-20 che restano vivi disputano in genere un campionato discreto, piazzandosi a metà classifica pur senza aver mai segnato più di un gol nella stessa partita.