Home » Storie di Provincia: il Pisa di Romeo Anconetani

romeo-anconetani-300x189La storia del Pisa nella serie A degli anni ’80 si lega indissolubilmente a quella del suo Presidente, Romeo Anconetani, uno di quelli per cui hanno coniato l’aggettivo “vulcanico”, all’epoca una classica etichetta presidenziale nel calcio di provincia. Rubicondo e rotondo, verace e rauco, Anconetani alimentava le facezie dei giornalisti con la stessa generosità con cui condiva scaramanticamente i campi di sale, arrivando a spargerne anche 26 chili prima di partite decisive. Un po’ “sciamanno” (come lo chiamavano, per via dei riti), un po’ vescovo mancato (come si autodefiniva, anche per via dei ritiri, imposti ai giocatori). Amava nutrirsi di allenatori, ben prima di Cellino e Zamparini.

Questo, per quanto riguarda l’aspetto di costume. Ma in realtà il Presidentissimo era anche un gran conoscitore del gioco del calcio, tanto che si era arricchito proprio inventandosi il ruolo di consulente mediatore (procuratore in termini odierni) che per decenni aveva esercitato prima di rilevare il Pisa. “Quel ragazzino lì, se mangiasse più bistecche, sarebbe forte come Cruyff.”, disse una volta guardando un allenamento della Fiorentina. E il ragazzino era Giancarlo Antognoni.

Dal suo archivio, che pare contenesse, le schede di oltre 4.000 calciatori, Anconetani attinse per portare a Pisa ottimi calciatori stranieri, che poi spesso riusciva a rivendere con discreto profitto. Tra questi, il più noto fu sicuramente Dunga, futura colonna della Fiorentina e capitano del Brasile campione del mondo nel ’94. Ma ottimi furono pure gli investimenti fatti sui danesi Berggreen e Larsen (poi passati a Roma e Milan), sugli argentini Chamot e Diego Pablo Simeone, tutti scoperti e portati in Italia da Anconetani. Non convinsero a pieno a Pisa, ma poi si affermarono altrove, gli olandesi Wim Kieft e Mario Been. Ciambelle senza buco invece, furono gli acquisti, dello stopper inglese Elliot, del centravanti belga Severeyns, arrivato da capocannoniere del proprio campionato e incapace di segnare un solo gol in 28 apparizioni.
Tra questi però, si distinse l’uruguaiano Jorge Caraballo, centrocampista che si presentò affermando “Sono il nuovo Schiaffino” e rimase come piccolo mito della bidonerìa arrivata con la riapertura delle frontiere, tra il ricordo di un rigore ciabattato in curva e quello del ritornello coniato in suo onore dai pisani “Caraballo Caraballo, meglio perdello ‘he trovallo”. Leggenda vuole che sia passato a fare il tassista, tra Montevideo e Caracas.

Sulla panchina pisana sedettero prevalentemente allenatori come Simoni, Guerini e Materazzi, personaggi di cappa e spada più che di fioretto, che miravano a mettere in campo una squadra combattiva e tenace, con poche concessioni artistiche. L’eccezione fu quella di Mircea Lucescu.

Un’altra figura tipica del Pisa di quegli anni, era quella dell’attaccante da battaglia, il bomber a cui il destino riserva di sventagliare raffiche di gol nelle squadre di provincia, ma che poi difficilmente si rivelava capace di imporsi nelle squadre di vertice. Tra questi, ricordiamo Baldieri, Piovanelli, Ferrante, Padovano (anche se quest’ultimo comunque non sfigurò nella Juventus).

I nerazzurri di toscana dall’82 al ’91 disputarono 6 campionati di serie A, alternando salvezze miracolose, a retrocessioni e pronte risalite, non disdegnando nel frattempo di vincere due volte la Mitropa Cup (antico trofeo continentale assegnato nell’ambito di un prestigioso torneo che tra squadre mitteleuropee, dal 1979 venne modificata e trasformata in una coppa per i club che vincevano i rispettivi campionati di secondo livello). Una squadra “ascensore”, si disse. Ma anche una gran bella fucina per molti talenti.

Tra le vittorie storiche del Pisa, ricordiamo un 2 – 1 inflitto all’Inter di Trapattoni, ricordato sotto la torre pendente per la balistica del bolide che da distanza siderale che Dunga infilò sotto l’incrocio alle spalle di Zenga. Qui il video del servizio RAI.