Home » Storie di Provincia: il (secondo) Foggia di Zeman

La stagione 1992-93 si apre con due importanti novità regolamentari: una riguardante l’introduzione del divieto per il portiere di raccogliere con le mani il retropassaggio volontario (la norma segnava un cambiamento importante nelle tattiche di gioco, favorendo il pressing, tipico della zona, a scapito dell’appoggio al portiere da parte del libero, tipico del gioco a uomo); l’altra relativa al numero di stranieri tesserabili, verso i quali viene meno il limite al tesseramento, fermo restando il numero di tre nella lista da consegnare all’arbitro. Ben 73 nuovi stranieri sbarcano nella Serie A, che diventa sempre più ostentatamente ricca. Al Milan, già forte di fuoriclasse come Gullit, Van Basten, Baresi, Donadoni, Maldini, arrivano Savicevic, Papin e Boban, oltre a Lentini. La Juve invece si rafforza ingaggiando Vialli, dopo un pluriennale corteggiamento, Ravanelli e Dino Baggio. All’Inter arrivano Darko Pancev, Totò Schillaci e il tedesco Sammer. Al parma Tino Asprilla, alla Lazio di Cragnotti, Paul Gascoigne.

Se in partenza la conferma degli uomini di Capello era ben preventivabile, sembrava invece già orientato verso il baratro il percorso dell’altra compagine rossonera, quel Foggia che, dopo la salvezza dell’anno precedente, aveva smantellato il luna-park di Zemanlandia, vendendo a peso d’oro sia le sue attrazioni principali, Signori, Baiano, Rambaudi, e il russo Shalimov, sia i comprimari, sostituendoli con giocatori pescati dalle serie minori, molti senza nemmeno esperienza di serie B. Il direttore sportivo Pavone aveva portato nella massima serie Di Biagio (dal Monza), Biagioni (Cosenza), Bresciani (Palermo), Bianchini (Lodigiani), Di Vincenzo (Reggina), Di Bari (Bisceglie), Seno (Como), e altri nomi che nulla dicevano alle biografie sportive, se non per apparizioni impalpabili, come quelle di Paolo Mandelli (con Inter e Lazio) o per curiosità esotica, come il costaricense Medford. Alcuni, come Sciacca, provenivano addirittura dall’Interregionale. Della precedente stagione, rimasero in organico il russo Kolyvanov, il rumeno Petrescu e il difensore Padalino. Solo il Presidente Casillo si mostrava convinto della possibilità di ripetersi, confidando nella bontà dei metodi di allenamento di Zeman e nella sua capacità di trasformare quei giocatori disposti a seguirlo in apprendisti stregoni, iniziati ad alchimie tattiche sorrette in bilico tra vertiginose ripartenze verticali, pressing a tutto campo, tagli improvvisi e scambi volanti.

L’avvio del campionato è terribile: la prima giornata è di scena proprio il Milan, che nell’anno precedente aveva rifilato un umiliante 2–8 ai “satanelli”, (“Mi sono vergognato”, aveva detto in quella circostanza il boemo, dando tra le righe anche il via libera alle successive cessioni estive). Eppure, il Foggia sembra resistere. Solo un’autorete sfortunata ne sancisce una sconfitta comunque onorevole.
Ma la tifoseria ribolle e alla vigilia della successiva partita contro il Napoli, un gruppo di teppisti entra nottetempo nello stadio Zaccheria tagliando le due porte, devastando il manto erboso e lasciando in mezzo al campo una scritta inequivocabile: ” Casillo vattene”. Forse scosso, il Foggia perde la partita.
La prima vittoria casalinga contro l’Udinese viene subito seguita però da un tracollo a Brescia. Tuttavia, qualcosa sembra emergere sui fondali di gioco, anche a dispetto dei risultati e dell’ultimo posto in classifica (seguito alla sconfitta per 3 – 0 di Ancona).
Nel mercato invernale, il Presidente Casillo, per dare un segno tangibile della propria fiducia alla piazza, ingaggia il nazionale olandese Brian Roy. La vittoria contro la Lazio dell’ex Signori è il primo atto della riconciliazione tra tifoseria e squadra. I risultati vanno migliorando, la squadra ora diverte e insieme alla sincronizzazione dei meccanismi vede crescere la fiducia nei propri mezzi, anche perché la condizione fisica sembra sorreggere l’impianto di gioco.

Così, quando allo stadio Zaccheria arriva la Juventus di Trapattoni, i tempi sono maturi per un’impresa.
Quel giorno le due squadre si affrontarono con queste formazioni: Foggia: Mancini, Petrescu, Caini, Sciacca, Di Bari, Bianchini, Bresciani (Nicoli), Seno, Roy (Mandelli), De Vincenzo, Biagioni. – Juventus: Peruzzi, Torricelli, D. Baggio Conte, (Marocchi dal 17′ s.t.), De Marchi, Carrera, Di Canio (Ravanelli), Galia, Vialli Moeller ,Casiraghi.
E’ il momento culminante della rappresentazione zemaniana. Il Foggia strapazza la Juventus, segna due gol con Bresciani e Mandelli, ma potrebbe farne di più; solo nel finale la Juventus accorcia le distanze. QUI il video del 2-1.

Il binomio Zeman – Pavone aveva di nuovo sorpreso l’Italia del pallone. Un allenatore e un direttore sportivo avevano portato la prova provata che, mentre le pay tv iniziavano a riversare miliardi di lire nelle casse delle Società, che a loro volta ingaggiavano campioni conclamati con ingaggi faraonici, esisteva ancora la possibilità di inventare calcio nella maniera più divertente ed entusiasmante, puntando su preparazione e competenza, a dispetto del curriculum vitae del giocatore – interprete.

Alla fine del girone di andata, la squadra chiude con un, solo punto in meno del Foggia di Signori – Baiano – Rambaudi. Nella prima di ritorno, il Foggia si concede anche il lusso di bloccare il Milan sul 2 -2. Di lì in poi, la squadra gestisce il proprio piazzamento, diverte e si salva con una giornata di anticipo. Il miracolo si era compiuto, tra gli applausi del pubblico festante. Gli stessi interpreti e lo stesso allenatore, l’anno successivo, arrivarono ad un passo dall’ingresso in Europa.